Domenica 22 Dicembre 2024

Migranti, la Corte Ue: no ai rimpatri se la vita è a rischio

Un cittadino di uno Stato extra-Ue o apolide non può essere rimandato in un paese dove la sua vita o la sua libertà possano essere minacciate. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha fissato una serie di paletti per la revoca o il rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato per motivi collegati alla protezione della sicurezza o della comunità di uno Stato membro previsti da una direttiva del 2011. Secondo i giudici di Lussemburgo, le disposizioni previste dalla direttiva sui rifugiati sono valide, ma la decisione di revocare o rifiutare il riconoscimento dello status di rifugiato non produce l’effetto di privare una persona nè dello status di rifugiato nè dei diritti che la Convenzione di Ginevra ricollega a tale status se questa persona ha il fondato timore di essere perseguitata nel suo paese di origine. Per la Corte, la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue vieta il respingimento di un cittadino di uno Stato extra-Ue o apolide verso un paese dove la sua vita o la sua libertà possano essere minacciate. La Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, inoltre, vieta in termini categorici la tortura nonchè le pene e i trattamenti inumani o degradanti, a prescindere dal comportamento dell’interessato, e l’allontanamento verso uno Stato dove esista un rischio serio che una persona sia sottoposta a trattamenti di tal genere. La Corte Ue in sostanza ha stabilito che il diritto dell’Unione riconosce ai rifugiati interessati una protezione internazionale più ampia di quella assicurata dalla Convenzione di Ginevra. Di fatto, la revoca dello status di rifugiato, quando c'è un rischio per la persona in questione, fa perdere alcuni benefici previsti dalla direttiva, ma non permette il rimpatrio. Il caso era stato sollevato da un cittadino ivoriano e uno congolese, nonchè una persona di origine cecena, che si sono visti revocare lo status di rifugiato o negare il riconoscimento in Belgio e Repubblica ceca, perchè considerate una minaccia alla sicurezza o condannate per un reato particolarmente grave per la comunità dello Stato membro ospitante.

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