Il giorno dopo il voltafaccia di Google, Huawei rilancia la sfida al gigante della Silicon Valley e alla Casa Bianca, dicendosi determinata a reagire e a trasformare quello che viene considerato come un «tradimento» in una opportunità di crescita. La casa di Shenzhen è pronta infatti a tirare fuori dal cassetto il piano B a cui con lungimiranza lavora da tempo, almeno dal 2012: quello di un sistema operativo tutto suo, alternativo ad Android.
E poco importa se l’amministrazione statunitense nelle ultime ore ha fatto una parziale retromarcia, concedendo una tregua di 90 giorni, fino al 19 agosto, per bloccare definitivamente la fornitura di beni e servizi al colosso cinese.
«Gli Stati Uniti sottovalutano le nostre capacità», è l'avvertimento lanciato dal fondatore di Huawei, Ren Zhengfei, assicurando come «la società è in grado di continuare a fornire prodotti e servizi» e come «le sanzioni statunitensi non danneggeranno il core business aziendale».
Parole che lasciano presagire un’immediata accelerazione dell’ambizioso progetto che potrebbe trasformarsi in un boomerang non solo per Google ma anche per Apple. Entrambe vedrebbero infatti sbarcare sul mercato un sistema operativo concorrente in grado potenzialmente di insidiare la posizione dominante su scala mondiale di Android e iOs. Il colosso cinese ha già il nome della sua futura creatura: Hongmeng.
La vera sfida sarà quella di convincere sviluppatori e utilizzatori a fare lo switch rispetto alle piattaforme fino ad oggi più popolari. Nel suo sforzo Huawei ha alle spalle i vertici statali, con il presidente Xi Jinping che ha spedito agli Usa un messaggio inequivocabile: «La Cina è pronta ad intraprendere una nuova Lunga Marcia, ancora una volta», il minaccioso monito con cui ha reagito all’escalation delle tensioni sui dazi e al caso Huawei.
Parole che gli esperti interpretano come un chiaro segnale dell’intenzione di Pechino di non mollare di un millimetro nel braccio di ferro con Washington, gettando ancora ombre sulla possibilità di un accordo, a partire dall’auspicata pax commerciale. Intanto in base alla licenza concessa dal Dipartimento al commercio americano, la cui durata potrebbe essere estesa, Huawei potrà continuare ad acquistare prodotti e servizi made in Usa per mantenere operativi gli smartphone già in commercio, e le reti e le apparecchiature esistenti, inclusi gli aggiornamenti software e le patch di sicurezza.
La licenza non riguarda invece l’acquisto di componenti statunitensi destinati alla creazione di nuovi prodotti. I mercati nel frattempo mostrano di essere propensi a credere in un allentamento delle tensioni, con le principali piazze finanziarie, dall’Europa a Wall Street, che rimbalzano grazie alla ripresa dei titoli tecnologici.
Ma un grido d’allarme arriva dai colossi dell’abbigliamento sportivo come Nike e Adidas, che in una lettera firmata da 173 aziende e inviata al presidente Trump parlano di «effetti catastrofici» dei dazi imposti sulla scarpe da ginnastica prodotte in Cina. Effetti catastrofici «per i consumatori, per le aziende e per l’economia americana», scrivono, sottolineando un inevitabile aumento dei prezzi. Per questo i big del settore, a nome dei milioni di consumatori e delle centinaia di migliaia dipendenti, invitano la Casa Bianca a riconsiderare i provvedimenti presi.
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