Un referendum che permetta al popolo iraniano di esprimersi sull'opportunità o meno di proseguire nel programma nucleare. L’ipotesi avanzata dal presidente Hassan Rohani è un vero colpo di scena nelle dinamiche interne all’opaco sistema politico di Teheran, che in questi giorni, sotto la pressione dell’assedio economico e militare degli Usa, vede emergere contrapposizioni impensabili fino a pochi mesi fa, in particolare tra lo stesso Rohani e la Guida Ali Khamenei.
Rohani, eletto nel 2013 e poi per un secondo mandato nel 2017 con un ampio margine sui suoi rivali grazie alle promesse di normalizzazione dei rapporti con l’Occidente, si è visto attaccare pubblicamente nei giorni scorsi da Khamenei, che ha parlato di «gravi errori» relativi all’accordo sul nucleare del 2015 con le grandi potenze. La Guida ha accusato il presidente e il suo ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif di aver insistito per concludere quell'intesa nonostante lui fosse contrario.
E a dimostrare il fallimento di quella politica, secondo la Guida, è stata l’uscita lo scorso anno degli Usa dall’accordo, seguita da un’escalation di sanzioni che ha messo in ginocchio l’economia del Paese. La proposta di consultazione popolare, avanzata da Rohani durante un incontro con i responsabili dei media iraniani, ha l'aria di una sfida. Dare la parola ad una nazione stremata, con il rischio che venga rinnegata la linea di resistenza sempre sostenuta da Khamenei, potrebbe portare un colpo irreparabile alla sua autorità.
E proprio alle sofferenze degli iraniani per l'isolamento a cui li sta costringendo l’amministrazione Usa di Donald Trump ha fatto riferimento Rohani, affermando che è venuto il momento di «porre fine alla guerra economica il più presto possibile». Il presidente si è richiamato all’articolo 59 della Costituzione, che prevede la possibilità di ricorrere al referendum su «questioni vitali» per il Paese. «Nel 2004 - ricorda Rohani - chiesi alla Guida di tenere un referendum sul nucleare.
Lui si disse d’accordo, ma con l’elezione del nuovo governo (quello dell’ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad) si decise di continuare su un’altra strada». Tuttavia lo strumento della consultazione popolare anche oggi potrebbe aiutare il Paese ad «uscire da un vicolo cieco». Lo schieramento pragmatico-riformista che si ispira a Rohani e quello conservatore che fa riferimento a Khamenei sono divisi in particolare sulla prospettiva di negoziati con gli Usa, dopo l'invito di Trump a telefonargli per avviare colloqui.
Il ministro Zarif è impegnato da giorni in un frenetico giro di contatti in diverse capitali, che oggi lo ha portato a Baghdad. Il suo omologo iracheno, Mohammed al-Hakim, è stato l’ultimo in ordine di tempo ad offrirsi come mediatore, dopo analoghi tentativi di Kuwait, Germania, e soprattutto l’Oman, che in passato ha già organizzato con successo contatti tra i due 'nemici'.
Il vice ministro degli Esteri del Kuwait, Khaled al Jarallah, ha affermato che contatti sono già stati avviati fra Teheran e Washington, ma il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Abbas Mousavi, ha affermato che «nessuna trattativa, è in corso, diretta o indiretta».
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