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Usa, Pompeo: "Pronti a parlare con l'Iran senza pre-condizioni"

Mike Pompeo

«Siamo pronti ad impegnarci in una conversazione senza pre-condizioni, siamo pronti a sederci a un tavolo»: il segretario di stato Usa Mike Pompeo tende la mano a Teheran dalla Svizzera, Paese che rappresenta gli interessi americani in Iran dopo la rivoluzione islamica del 1979.

Il capo della diplomazia statunitense, che in passato aveva elencato i 12 cambiamenti che l’Iran deve fare per ottenere la revoca delle sanzioni Usa, ha risposto così in una conferenza stampa congiunta con il collega elvetico Ignazio Cassis ad una domanda sull'apertura manifestata ieri dal presidente iraniano Hassan Rohani. «Siamo per la logica e per i colloqui, se la controparte si siede rispettosamente al tavolo negoziale e segue le regole internazionali, non se emana un ordine di negoziare», aveva dichiarato da Dubai. Insomma, dialogo ma sulla base del rispetto e delle regole, senza bullismi.

Lo ha ribadito oggi, anche se con sfumature diverse, il portavoce del ministero degli esteri iraniano, Abbas Mussavi:
«il criterio è il cambiamento del comportamento generale e degli atti degli Stati Uniti verso la nazione iraniana. La
repubblica islamica non tiene conto dei giochi di parole e dell’ uso di un nuovo linguaggio per esprimere obiettivi concreti», ha aggiunto. Una apparente svolta, e un’apparente divisione al vertice del regime, dopo che la Guida suprema Ali Khamenei aveva escluso ogni possibilità di dialogo.

«Siamo certamente pronti ad avere una conversazione quando gli iraniani potranno dimostrare che vogliono comportarsi come una nazione normale», ha proseguito Pompeo, ammonendo che gli Usa continueranno la loro campagna di pressione sulla Repubblica Islamica per contrastare la sua «attività maligna» in Medio Oriente e a monitorare l’attività nucleare di Teheran. «Il mondo deve essere consapevole che stiamo osservando da vicino come l’Iran sta rispettando le condizioni previste dall’accordo sul nucleare», ha sottolineato riferendosi all’intesa da cui gli Usa sono usciti e che finora - secondo l’Aiea - Teheran non ha violato.

Anche Donald Trump ha lanciato ripetuti segnali di apertura a Teheran. «Se vogliono parlare, sono disponibile», è stato l'ultimo messaggio del presidente, che ha contenuto le richieste del Pentagono per rafforzare la presenza militare in Medio Oriente dopo lo sfoggio di muscoli con l’invio di una flotta da guerra, di una squadra di bombardieri e di batterie di missili Patriot.

La ricerca di un dialogo potrebbe passare attraverso la mediazione elvetica, come suggerisce anche la recente visita
alla Casa Bianca del presidente svizzero Ueli Maurer. Ma Pompeo ha glissato: «non parlerò di come comunicheremo o non comunicheremo con l’Iran», ha detto ai cronisti. E alla domanda sul perchè starà tre giorni in Svizzera, città visitata per l'ultima volta da un segretario di stato Usa oltre due decenni fa, ha risposto con una battuta: «sono un grande fan di formaggio e cioccolato».

Probabile che Pompeo abbia discusso anche della liberazione dei cittadini americani detenuti in Iran, il cui rimpatrio «resta una delle maggiori priorità della politica estera di Trump» e che potrebbe essere un primo segnale di disgelo, come accaduto con la Corea del nord. Attualmente in Iran sono tenuti prigionieri almeno cinque cittadini americani, quattro dei quali con doppia cittadinanza, e almeno due residenti americani permanenti. Un altro americano, l’ex agente dell’Fbi Robert Levinson, risulta scomparso dal 2017 ma Teheran ha negato ripetutamente di avere informazioni su di lui. Di sicuro il segretario di stato Usa ha parlato di aiuti umanitari al popolo iraniano che soffre l’impatto delle sanzioni, un problema sollevato da Cassis.

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