Noa Pothoven non si è sottoposta a eutanasia, ma si sarebbe lasciata morire, rifiutando ogni alimento e ogni cura. E’ questa l’ipotesi che si sta facendo strada sulla morte della 17enne olandese vittima di depressione e anoressia dopo due stupri, su cui il mondo si interroga da quando la sua vicenda è rimbalzata sulle prime pagine. Sarà una ispezione del ministero della sanità olandese, ed eventualmente una successiva indagine ufficiale, a fare definitiva chiarezza sulle circostanze della morte, ma è già polemica sulle questioni etiche sollevate dal caso, sulle quali è intervenuto oggi anche Papa Francesco. La stampa olandese e britannica aveva parlato di eutanasia, legale in Olanda, come pure il suicidio assistito, in certe condizioni. Ma Noa, a quanto si è appreso, aveva ricevuto un rifiuto quando si era rivolta autonomamente, l’anno scorso, ad una clinica specializzata dell’Aja. Il ministero olandese vuole vederci chiaro, ma da fonti olandesi interpellate dall’ANSA trapela che la ragazza, già sofferente di anoressia da molti anni e sottoposta a vari tentativi di cure, avrebbe semplicemente deciso di non mangiare né bere, e di rifiutare le cure. Una circostanza purtroppo non rara in queste patologie e di fronte alla quale non è facile accertare se familiari e medici avrebbero potuto fare qualcosa. O se lo abbiano voluto. Per questo l’ispezione del ministero, che vuole accertare «il tipo di cure ricevute da Noa e se ci sia stato qualche errore" nei trattamenti somministrati. Violentata a 11 anni ad una festa di scuola, Noa aveva subito un’altra aggressione sessuale in strada a 14 da parte di due uomini. Un trauma per lei insuperabile, che l’aveva portata a soffrire di una forma grave di depressione, all’anoressia e a svariati tentativi di suicidio. Ricoverata in ospedali e comunità, era stata posta anche in coma farmacologico per essere alimentata: un calvario durato anni. Aveva scritto un libro con la sua storia nell’intento di fare coraggio ad altri giovani fragili, ma una decina di giorni fa ha rivelato sui social di oler porre fine alla sua sofferenza psichica «insopportabile ensenza speranza». «E' da tanto che non mi sento davvero viva - aggiungeva - respiro ma non vivo» ed esortava i suoi follower a non tentare di dissuaderla. Prevedeva perfino quando sarebbe arrivata la fine: «Entro una decina di giorni». E così è stato. Non ci sono prove che la sua morte, avvenuta nella sua casa di Arnhem il 2 giugno, sia stata in qualche modo assistita. «In effetti - scrive il Guardian - non è chiaro come la ragazza sia morta. Non è stata diffusa alcuna causa ufficiale di morte e non vi sono prove che si sia trattato di eutanasia o di suicidio assistito», entrambi legali in Olanda seppure ad alcune condizioni. A quanto pare, in casa era stato portato un letto d’ospedale dove Noa, a partire dalla scorsa settimana, ha rifiutato ogni tipo di alimento e fluido, in qualsiasi forma e somministrazione. «Genitori e medici - riferisce ancora il Guardian citando proprie fonti anonime - hanno concordato di non procedere all’alimentazione forzata», una pratica consentita dalle linee guida dei medici olandesi secondo le quali «se un paziente nega il consenso alle cure, chi ne ha responsabilità può smettere di prestarne». Sarà ora l’ispezione a chiarire se è andata così domenica a casa Pothoven. La vicenda ha comunque risvegliato in Italia un dibattito sul fine vita in realtà mai sopito. «L'eutanasia e il suicidio assistito sono una sconfitta per tutti. La risposta a cui siamo chiamati è non abbandonare mai chi soffre, non arrendersi, ma prendersi cura e amare per ridare la speranza», ha twittato papa Francesco. Mentre per il Vaticano «la morte di Noa è una grande perdita per qualsiasi società civile e per l’umanità. Dobbiamo sempre affermare le ragioni positive per la vita», ha sottolineato la Pontificia Accademia per la Vita nel giorno cui i Cinque Stelle hanno presentato una proposta di legge per l'eutanasia, bandita al momento in Italia.