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La polizia uccide un afroamericano e scoppia la guerriglia a Memphis

Crivellato di colpi, ucciso alle sette di sera da almeno 20 proiettili sparati dagli agenti che lo hanno abbattuto davanti al giardino di casa: così è morto Brandon Webber, 21 anni, afroamericano, padre di un bimbo, ricercato dalle forze dell’ordine per alcuni reati minori. Passano un paio d’ore e a Memphis si scatena l’inferno, il caos, con centinaia di persone che si riversano in strada per protestare. E ben presto la rabbia della comunità nera degenera in guerriglia urbana. Il bilancio è di almeno 26 feriti, di cui 24 poliziotti, tre arresti e decine di auto devastate. Le immagini delle tv locali mostrano un fitto lancio di pietre e di bottiglie verso gli agenti schierati in assetto anti sommossa e che rispondono con alcune cariche e il lancio di lacrimogeni. La folla viene dispersa solo in tarda notte. Le riprese intanto fanno il giro del mondo, portando alla ribalta la difficile realtà di una città a maggioranza afroamericana ai più nota per essere la capitale del blues e del rock'n'roll (lì è sepolto Elvis) e per essere stata teatro dell’assassinio di Martin Luther King nel 1968.

E l’America torna a interrogarsi sull'uso eccessivo della forza da parte della polizia nei confronti della minoranza afroamericana, su quella lunga scia di sangue e violenze che negli ultimi anni - dal caso di Trayvon Martin a quello di Michael Brown - ha dato vita al movimento Black Lives Matter. Dopo il pressing dell’amministrazione Obama per tentare di cambiare procedure e codici di comportamento dei vari dipartimenti di polizia, ora ci si interroga se nell’era Trump non si rischi di fare un passo indietro.

I fatti. Gli uomini della Us Marshall, l’agenzia federale della polizia penitenziaria, erano arrivati nel sobborgo di Frayser, nella parte nord di Memphis, per arrestare Brandon accusato di reati al momento non resi noti. In azione erano gli agenti che fanno parte della task force che ha il compito di dare la caccia ai ricercati. Hanno trovato il ragazzo in auto e - secondo il loro racconto - il giovane avrebbe tentato di investirli. Poi, sceso dalla macchina, Brandon avrebbe minacciato gli agenti con un’arma da fuoco. E lì che è partita la scarica di colpi fatale. Si tratta però di una versione contestata dai testimoni e dai familiari, secondo cui il ragazzo voleva solo fuggire. Qualcuno dice anche che Brandon fosse disarmato.

Sarà l’indagine avviata dal Tennessee Bureau of Investigation a cercare di stabilire la verità. L’unica cosa certa è che Brandon, poco prima di essere ucciso, aveva postato su Facebook un video poi rimosso. Immagini in cui aveva ripreso l’arrivo degli agenti e si sentirebbe lui dire «devono uccidermi». Poco al momento si sa sui trascorsi del ragazzo, che si era diplomato un paio di anni fa ed era iscritto alla University of Memphis. Sempre su Facebook la madre del suo bimbo dall’ospedale in cui lavora ha postato un altro video che la ritrae disperata e in lacrime.

E mentre le autorità cittadine condannano i tafferugli e gli atti vandalici, Tami Sawyer, massima responsabile della contea di Shelby e in corsa per diventare sindaco di Memphis, prende le difese della gente scesa in strada. «Non giudicate senza chiedervi come si sente una comunità da sempre ignorata e che ancora una volta è costretta a piangere la morte dei propri giovani».

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