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Proteste a Hong Kong, quasi 2 milioni di persone in corteo contro la Cina

La seconda chance richiesta dalla governatrice di Hong Kong, Carrie Lam, si è infranta contro la marea umana del corteo di quasi 2 milioni di persone che, nelle stime degli organizzatori del Civil Human Rights Front, ha sfilato pacificamente nel centro della città. Una prova decisa e solida che, facendo salire di livello le proteste, adesso è ben più di un semplice campanello d'allarme per Pechino. Le manifestazioni scaturite dalla criticatissima legge sulle estradizioni in Cina, destinate a proseguire anche domani con lo sciopero generale di lavoratori, insegnanti e studenti, sono cresciute di dimensione oltre qualsiasi ipotesi immaginabile fino a pochi giorni fa, diventando un serissimo grattacapo per la leadership del Partito comunista cinese visti gli scenari più temuti che si stanno profilando all'orizzonte.

Donald Trump parlerà delle proteste in corso a Hong Kong con il presidente Xi Jinping al G20, ha affondato subito il colpo il segretario di stato americano Mike Pompeo, in un'intervista a "Fox News Sunday". "Si incontreranno fra un paio di settimane, sono sicuro che sarà fra i temi di cui discuteranno", ha detto Pompeo, menzionando il vertice tra i due leader al G20 di Osaka di fine mese. Pompeo ha ricordato come il tycoon sia "sempre stato uno strenuo difensore dei diritti umani". Malgrado la parte cinese debba ancora confermare l'incontro, insieme al già difficile dossier commerciale, Xi dovrebbe, nella lettura americana, cimentarsi nella questione di Hong Kong, da giorni già derubricata dalla Cina a vicenda "interna".

Al di là delle forme, è lecito immaginare tutta l'irritazione cinese già per l'azzardo fatto da Pompeo, proprio quando Xi si trova nella fase più difficile dei suoi sei anni alla guida del Pcc e della Repubblica popolare, tra gli effetti della guerra dei dazi con gli Usa diventata anche tecnologica con lo scontro su Huawei, e con l'economia che mostra sempre più segnali di rallentamento. I manifestanti, quasi il doppio di domenica scorsa e "solo" 338.000 per la polizia, hanno sfilato vestendo abiti neri, lasciando il giallo del movimento degli ombrelli pro democrazia che nel 2014 bloccò la città per 79 giorni. Hanno chiesto il ritiro in via definitiva della legge, non fidandosi della sospensione sine die della sua discussione in parlamento annunciata dalla Lam, ma hanno anche scandito a gran voce la richiesta di dimissioni della stessa governatrice, colpevole di essersi mostrata filo-Pechino e poco attenta alla "voce della città".

Così hanno avuto il tono della beffa le scuse tardive della governatrice maturate non sabato in conferenza stampa, ma solo in serata attraverso un comunicato, quando l'appello degli attivisti alla mobilitazione aveva radunato quasi il 30% circa dell'intera popolazione di Hong Kong. La governatrice ha promesso "di avere un'attitudine più sincera e umile nell'accettare le critiche e i miglioramenti in modo da poter servire il pubblico". Se il destino della Lam sembra segnato, sono tutte da vedere le mosse che Pechino prenderà per contenere la situazione. Rispetto alla manifestazione di domenica scorsa, la polizia ha aperto alla "marea nera" altre corsie e diverse strade laterali di accesso al percorso di circa tre chilometri, consentendo a molte persone di unirsi al corteo evitando il punto di partenza di Victoria Park, hanno spiegato all'ANSA alcuni partecipanti. Intanto, domani oltre alle nuove manifestazioni, ci sarà pure la scarcerazione di Joshua Wong, uno degli studenti leader del movimento degli ombrelli, dopo aver scontato i due mesi di reclusione inflittagli per il ruolo avuto nelle manifestazioni. Demosisto, il partito di cui è stato cofondatore, lo ha annunciato in una nota, nel giorno della più grande prova a difesa della democrazia tenuta nell'ex colonia dalla sua restituzione alla Cina nel 1997.

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