Il cambiamento climatico non è solo causa di incendi, inondazioni e carestie: ora «minaccia di annullare gli ultimi 50 anni di progressi nello sviluppo, nella salute globale e nella riduzione della povertà». A dipingere uno scenario sempre più drammatico è il relatore speciale dell’Onu sull'estrema povertà e i diritti umani, Philip Alston. Nel suo rapporto, presentato al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, l’esperto ha avvertito che il climate change «potrebbe causare 120 milioni di nuovi poveri entro il 2030». Il pianeta, a suo parere, è a rischio di un «apartheid climatico», con i ricchi che hanno i mezzi per sfuggire alla fame «mentre il resto del mondo è lasciato a soffrire». L’allarme dell’australiano, che fa parte di un gruppo di esperti indipendenti dell’Onu, arriva mentre l’Europa questa settimana è alle prese con un’ondata di caldo senza precedenti, con temperature che secondo i meteorologi raggiungeranno o addirittura supereranno i 40 gradi dalla Spagna all’Italia, dalla Francia alla Germania. Un fenomeno provocato da una corrente di aria calda dal Sahara che, oltre a temperature percepite fino a 47 gradi a causa dell’umidità, porta con sé in diverse regioni il rischio di incendi nelle foreste e un aumento dei tassi di mortalità. Se nel nostro Paese l’ondata di caldo torrido potrebbe essere potenzialmente più forte di quella del 2003, ricordata per la sua lunga durata, anche la Scandinavia non sarà risparmiata, con regioni della Danimarca meridionale e della Svezia che potrebbero essere interessate da temperature sino ai 30 gradi. Alston ha criticato le misure adottate dagli organismi delle Nazioni Unite come «palesemente inadeguate»: non salveranno la Terra dal «disastro imminente». L’avvertimento chiave del rapporto, basato sulle ultime ricerche scientifiche, è che i poveri del mondo rischiano di essere colpiti più duramente dall’aumento delle temperature, dalla potenziale penuria di cibo e dai conflitti che potrebbero accompagnare questo cambiamento. Si prevede infatti che le nazioni in via di sviluppo soffriranno almeno il 75% dei costi dei cambiamenti climatici, nonostante la metà più povera della popolazione mondiale generi solo il 10% delle emissioni di CO2. «Anche se verranno raggiunti gli attuali obiettivi - ha spiegato - decine di milioni di persone saranno impoverite, portando ad uno sfollamento generalizzato e alla fame». Secondo Alston, persino l’irrealistico scenario di un riscaldamento globale limitato a 1,5 gradi entro il 2100 porterà temperature estreme in molte regioni con conseguente insicurezza alimentare, impoverimento e peggioramento della salute per le popolazioni più svantaggiate. E molte persone dovranno scegliere tra fame e migrazione. Ma il fenomeno avrà pure un impatto sulla democrazia, in un contesto in cui «i diritti civili e politici saranno estremamente vulnerabili». Nonostante i reiterati appelli del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, le parole dei leader mondiali non stanno portando ad azioni significative, con gli Usa di Donald Trump che si sono anche sfilati dall’accordo di Parigi sul clima. «Gli Stati hanno superato qualsiasi soglia di allarme scientifico, e quello che una volta era considerato un riscaldamento catastrofico ora sembra lo scenario migliore». Ancora oggi, insomma, «troppi Paesi stanno facendo passi miopi nella direzione sbagliata».