Rinchiusi per mesi, a centinaia, con un caldo soffocante, dentro hangar nel deserto della Libia occidentale pieni di vermi, spazzatura ed escrementi: abbandonati in queste condizioni, 22 migranti sono morti di malattia, di fame e sete da settembre.
Non sono stati neanche sepolti perché mancano cimiteri per cristiani e i loro corpi sono stati ammassati in locali con l’aria condizionata o in frigoriferi. E ora i sopravvissuti e i loro avvocati accusano le agenzie umanitarie dell’Onu di aver «chiuso un occhio» davanti a quanto accadeva o di avere «risposto con troppa lentezza».
L’Agenzia dell’Onu per i rifugiati, Unhcr, ha negato le accuse, affermando di non aver potuto accedere a certe parti del centro, gestito da una delle molte milizie libiche. Ma le testimonianze riferiscono che i detenuti a Zintan dovevano dividere ogni giorno un paio di secchi d’acqua fra tutti e che sopravvivevano a stento con un pasto a giorno.
Il responsabile della struttura ha negato che vi sia stato alcun ostacolo all’accesso. Ma, a quanto risulta dal materiale giunto all’Associated Press, vi sarebbe stato del disaccordo tra l’Unhcr e altre agenzie circa le condizioni del centro. Ma si stima che siano almeno seimila quelli rinchiusi in decine di centri di detenzione gestiti da milizie accusate di ogni genere di abusi.
A Zintan i migranti all’interno del centro di detenzione che sono stati contattati hanno accusato l’Unhcr di averli abbandonati. All’interno della struttura sono detenuti 700 africani, in maggioranza eritrei. Fino all’inizio di questo mese erano tenuti in un hangar di cui foto e video postati online dagli stessi migranti hanno attratto l’attenzione dei media.
Successivamente sarebbero stati trasferiti in due strutture più piccole, ma in condizioni altrettanto critiche. Alcuni di loro sono stati sottoposti a punizioni e lasciati senza cibo né acqua per giorni. Medici senza frontiere ha confermato di aver trovato alcuni migranti fortemente malnutriti, alcuni con tubercolosi.
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