Un'altra giornata di proteste e caos a Hong Kong: il Parlamento è stato assaltato, occupato e vandalizzato per oltre tre ore fino all'intervento della polizia in piena notte con cariche e lacrimogeni, nel momento più drammatico e violento da quando sono iniziate le manifestazioni pacifiche e di massa contro la legge sulle estradizioni in Cina. Nel giorno del 22esimo anniversario del ritorno della città sotto la sovranità di Pechino e dei 98 anni dalla fondazione del Partito comunista cinese, la bandiera dell'ex colonia britannica è tornata a sventolare nell'aula, nel posto istituzionale più alto e peculiare dell'autonomia di Hong Kong dalla madrepatria. Gli occupanti, che hanno tracciato graffiti sui muri, distrutto i ritratti dei precedenti governatori e messo a soqquadro alcuni uffici, hanno letto una dichiarazione basata su 5 punti, tra cui la richiesta di "colloqui immediati" con la governatrice Carrie Lam. "Il governo al popolo, suffragio universale subito", hanno invocato i manifestanti, che hanno risollecitato l'immediato ritiro della legge, ritenuta uno strumento per ridurre l'autonomia della città a favore di una maggiore ingerenza di Pechino, il rilascio delle persone arrestate nelle precedenti proteste e il ritiro delle accuse di rivolta a loro carico. E soprattutto una commissione indipendente per fare luce sui metodi duri usati dalla polizia nella manifestazione del 12 giugno tra lacrimogeni, spray urticanti, proiettili di gomma e manganelli. Allo scoccare della mezzanotte, scaduto l'ultimatum per sgomberare l'aula volontariamente, migliaia di agenti sono entrati in campo con l'uso della "forza appropriata" minacciata via Facebook poco prima per riportare l'ordine dopo un pomeriggio di guerriglia, con due diversi punti di scontro nella giornata, che ha visto oltre 2.000 attivisti, in prevalenza studenti, presentarsi all'Admiralty e circondare l'assemblea legislativa, equipaggiati di scudi di legno, maschere, occhiali di plastica di protezione ed elmetti gialli da cantiere. Prima hanno costruito barriere con transenne e cavalli di frisia improvvisati, poi hanno usato grandi martelli per sfondare le vetrate del Parlamento. La giornata si era aperta con le silenziose celebrazioni dell'alzabandiera tenute nel centro congressi del compound governativo invece che sul piazzale esterno, come di consueto: ufficialmente per il maltempo, molto più probabilmente per il timore di contestazioni. Sul piazzale, poco dopo, è stata ammainata dagli attivisti la bandiera cinese ed è apparsa quella di Hong Kong, il fiore della bauhinia, ma non in rosso, bensì nel colore nero scelto per rappresentare le proteste. Nel suo discorso, la governatrice Carrie Lam ha detto di aver imparato dalle due proteste di giugno, capaci di mobilitare milioni di persone, ad ascoltare "di più e meglio i giovani e la gente in generale. Questo mi ha fatto capire che, come politica, devo ricordare a me stessa tutte le volte la necessità di capire i sentimenti popolari fino in fondo". Il corteo pacifico lanciato di Civil Human Rights Front, il gruppo di attivisti alla base delle mobilitazioni dei giorni scorsi, ha visto l'adesione di circa 550.000 persone, secondo gli organizzatori, partendo da Victoria Park e finendo a Chater Road invece che all'Admiralty, dove c'era l'assedio al parlamento. La polizia ha parlato invece di un picco di 190mila manifestanti. Considerando pure le proteste del 9 e del 16 giugno, a manifestare sono state oltre 3 milioni e mezzo di persone su una popolazione totale di 7,4 milioni, sempre contro la legge sulle estradizioni in Cina. La violenza delle proteste complica però i rapporti con Pechino, dove l'irritazione è in decisa crescita. Il Global Times, tabloid del Quotidano del Popolo (la voce del Pcc), ha lanciato un messaggio inequivocabile: con le devastazioni di oggi "è stata superata la linea rossa".