Venerdì 20 Dicembre 2024

Arriva la svolta di Corbyn sulla Brexit, sì al referendum bis

Jeremy Corbyn

Arriva la svolta di Jeremy Corbyn sulla Brexit, lungamente attesa e lungamente rinviata: il leader dell’opposizione britannica formalizza la richiesta del Labour d’un secondo referendum sul divorzio da Bruxelles, lanciando il guanto di sfida al futuro premier (quasi sicuramente Boris Johnson) e impegnandosi a sostenere l’opzione di restare nell’Ue (Remain) contro qualunque no deal o qualunque accordo che un prossimo governo Tory fosse mai in grado di portare a casa. La decisione laburista è stata ratificata oggi dal governo ombra e annunciata da Corbyn in una lettera aperta agli iscritti. Lettera in cui il leader - azzoppato dal pessimo risultato delle recenti elezioni europee dopo aver tentato insistentemente di mantenersi in bilico fra la maggioranza anti Brexit e lo zoccolo duro pro Leave del suo partito - rompe gli indugi, superando buona parte delle esitazioni che il fronte filoeuropeo gli aveva finora rimproverato. E sollecita chi fra Boris Johnson e Jeremy Hunt subentrerà a Theresa May ad accettare di «restituire la parola al popolo». «Chiunque diventi primo ministro, dovrebbe sottoporre a un voto pubblico il suo deal, o un no deal», scrive Corbyn. E in questo caso, aggiunge, «il Labour farà campagna pro Remain contro qualunque accordo Tory che non protegga l’economia e i posti di lavoro». L’unica riserva - come concordato ieri in una riunione fra i vertici laburisti e i sindacati - resta legata alla possibilità che il prossimo governo Tory cada, passi la mano a un esecutivo laburista e che sia questo a negoziare una Brexit soft. Ma comunque la svolta c'è, certifica Hilary Benn, presidente della commissione Brexit alla Camera dei Comuni e capofila dell’ala più euro-entusiasta del Labour, che parla di «un momento molto significativo». Un cambio di passo che ottiene il plauso tanto della fronda interna animata dal vice leader Tom Watson, quanto degli esponenti della sinistra interna fedelissimi di Corbyn, come il cancelliere dello scacchiere ombra John McDonnell, che sul dossier Brexit si erano dissociati negli ultimi mesi dagli equilibrismi imputati al compagno Jeremy. Ma che non potrà non incontrare il dissenso di almeno 20-30 deputati eletti in collegi pro Leave e di un pezzo di base militante quantificata in un quarto, se non un terzo, d’elettori laburisti potenziali. D’altro canto il sogno di una rivincita referendaria non è nelle mani del Labour o delle sole opposizioni. Per renderlo possibile occorrerà una maggioranza parlamentare, fuori discussione a meno di una rivolta di 40-50 deputati conservatori disposti a rompere con il leader destinato a succedere alla May a Downing Street e a correre il rischio di elezioni anticipate: scenario destinato a chiarirsi meglio dopo il 23 luglio, giorno nel quale è previsto il verdetto del ballottaggio per la leadership Tory fra il favoritissimo Johnson e Jeremy Hunt. I sondaggi fra i 160.000 iscritti Tory - in maggioranza maturi ed euroscettici, chiamati a decidere la sfida attraverso un voto postale le cui procedure sono già iniziate - lasciano in effetti pochi spazi ai dubbi. Boris appare lanciato verso il traguardo nonostante gli ultimi attacchi di Hunt nel dibattito televisivo a due di stasera su Itv. Tanto più che l’impegno di attuare la Brexit costi quel che costi (unito alle promesse di mirabolanti tagli fiscali) accomuna i contendenti, con la differenza che Johnson si mostra se non altro più chiaro nell’indicare tassativamente l’azzardo della scadenza dell’uscita dall’Ue il 31 ottobre. Deal o no deal. Mentre in materia di relazioni internazionali è sempre lui a proporsi come scelta migliore rispetto al suo successore al Foreign Office per provare a ricucire con l’alleato americano e con «l'amico" Donald dopo l’ennesima polemica innescata dal leak dei cablo anti-Trump dell’ambasciatore negli Usa, Kim Darroch. E la reazione furiosa del presidente americano sfociata giusto oggi in una nuova raffica di accuse via Twitter alla dimissionaria May per la sua politica sulla Brexit, accompagnato da una sorta di benservito allo «stupido presuntuoso» Darroch.

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