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Alpinista italiano ferito in Pakistan, corsa contro il tempo

Carlalberto Cimenti e Francesco Cassardo

«Cima! Cala è riuscito a salire l'inviolato». Carlalberto Cimenti detto Cala, uno degli alpinisti italiani più apprezzati e conosciuti, ieri dal Pakistan aveva vergato sul web queste parole. Nel tripudio dei suoi fan. Ce n'era motivo: aveva conquistato il Gasherbrum VII inerpicandosi fino a quota 6.898. «Una montagna - diceva - ancora non scalata, con una parete innevata su cui sarebbe bello mettere gli sci. Una linea magica finora mai tracciata».

Nel giro di poche ore, però, l’impresa è diventata un incubo di sofferenza, angoscia, rabbia e frustrazione. Il compagno di cordata di Cala, il torinese Francesco Cassardo, 30 anni, medico, è precipitato durante la discesa. Per centinaia di metri. Facendosi male. Molto male. Ma nessun elicottero pakistano, nonostante le richieste, le suppliche, gli interventi della Farnesina e gli appelli dei familiari dall’Italia, è andato su a recuperarlo. Così è toccato dare fondo a tutte le riserve di coraggio. E applicare l’arte di arrangiarsi, con alcuni colleghi che sono riusciti a raggiungerlo. In condizioni proibitive. Per Cassardo una seconda notte sul tetto del mondo, con temperature di molto sotto lo zero. Non è solo. Con lui ci sono Cala, che lo sta vegliando ormai da decine di ore, e i quattro alpinisti partiti dal campo base di Gasherbrum per un’improvvisata spedizione di soccorso internazionale. Ma si attende ancora l’elicottero. E non se ne parlerà prima di domattina alle 6.30 (ora locale).

Sulle condizioni di Francesco non ci sono dati precisi. Chi lo ha visto racconta di una lesione a un femore e di una brutta contusione alla testa che però è risultata meno preoccupante di quel che sembrava. Cimenti, dopo averlo raggiunto a quota 6.300 metri, è stato rassicurante nei limiti del possibile: «Francesco è grave ma è cosciente. E’ vigile, lucido, e ci aiuta, da medico, a dare le indicazioni necessarie». Ma ad un certo punto l'angoscia ha fatto breccia anche su di lui: «Fate volare l'elicottero, vi prego».

Cassardo, residente a Rivoli (Torino), lavora in un ospedale della provincia. Nella prima parte della spedizione in Pakistan ha aiutato i colleghi di un piccolo ambulatorio locale a far funzionare un ecografo, e aveva regalato scatole di medicine introvabili da quelle parti. Poi ha dato sfogo all’altra sua grande passione: l’alpinismo. Insieme all’amico Cala, un numero uno. Essendo meno acclimatato (era da poco arrivato in zona mentre Cimenti era reduce da un’avventura sul Nanga Parbat) era salito più lentamente. All’improvviso è precipitato. Cala lo ha raggiunto e la macchina dei soccorsi si è messa subito in moto.

Il problema erano gli elicotteri: non se ne trovava uno disponibile. Dal Ministero degli Esteri, che ha esercitato pressioni su pressioni, riportano che era un problema di altitudine: troppo elevata. Altre fonti aggiungono che ieri c'erano non meno di altri otto interventi in corso, a cominciare dal K2. E poi burocrazia, noie con le assicurazioni, intoppi veri o pretestuosi. Marco Confortola, fermo nel campo base a quota 5.500, stava festeggiando la conquista del suo undicesimo Ottomila. E’ stato lui a dare il via alla macchina dei soccorsi con una telefonata ad Agostino Da Polenza, del comitato Ev-K2-Cnr.

Per avere l'elicottero le hanno tentate tutte, ma è stato inutile. «Mi sembra di vivere in un incubo», si è sfogato Confortola su internet. Cima, intanto, scavava una trincea di neve per proteggere il compagno dalle raffiche di vento. Dal campo sono partiti gli alpinisti Denis Urubko e Dan Bowie, ai quali si sono aggiunti due colleghi polacchi. Una volta sul posto hanno assemblato alla meglio una specie di slitta e hanno portato Francesco a una quota più bassa, dove trascorrerà la prossima notte. Una corsa contro il tempo. E anche, come sottolinea uno dei tantissimi appassionati che da tutto il mondo seguono la vicenda con il fiato sospeso, «un magnifico esempio di solidarietà alpinistica».

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