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Usa, Trump ripristina le esecuzioni federali dopo 16 anni

Donald Trump

Donald Trump ripristina le esecuzioni delle pene capitali per le persone condannate da tribunali federali, riaprendo il dibattito sulla pena di morte in vista della campagna presidenziale del 2020. Dopo la revoca della moratoria nel 1988, ne erano state eseguite solo tre, di cui l’ultima nel 2003.

A livello federale i tribunali pronunciano raramente pene capitali, tanto che solo 62 detenuti si trovano nel braccio della morte dei penitenziari federali, mentre in quelli statali sono ben 2743. Tuttavia, ora il ministero della giustizia ha adottato un nuovo protocollo di iniezione letale (con un solo barbiturico, il Fenobarbital) e ha programmato cinque esecuzioni in una prigione federale dell’Indiana.

Si tratta di persone condannate «per aver ucciso, e a volte torturato e violentato, i membri più vulnerabili della società: bambini o persone anziane». Il primo ad essere giustiziato, il prossimo 9 dicembre, sarà Daniel Lewis Lee, un suprematista bianco condannato per aver ucciso in Arkansas una famiglia di 3 persone, tra cui un bimbo di 8 anni. Trump ha auspicato ripetutamente una estensione della pena di morte, in particolare per chi uccide i poliziotti, per gli estremisti islamici, gli autori delle stragi di massa e i trafficanti di droga.

E ora mostra il 'pugno duro' da far valere nella campagna per la sua rielezione. La sua mossa è però in contrasto con le crescenti moratorie sulla pena di morte adottate da vari Stati negli ultimi dieci anni: da un lato per le controverse iniezioni letali, accusate di causare eccessiva sofferenza, dall’altro per la carenza delle sostanze da usare, perchè le grandi case farmaceutiche rifiutano di fornirle nel timore di essere associate ad una prassi che molti considerano inumana e incivile.

L’ultimo Stato ad unirsi alla fronda, lo scorso marzo, è la California, che ha così fatto salire a 21 su 50 il numero degli stati che hanno abolito o sospeso le pene capitali.  La decisione è stata presa con un ordine esecutivo dal neo governatore democratico Gavin Newsom, nonostante i californiani avessero confermato nel 2012 e nel 2016 di essere a favore della pena capitale, anche se con una maggioranza risicata.

Trump aveva cavalcato la protesta: «Sfidando gli elettori, il governatore della California ha bloccato le esecuzioni di 737  killer spietati. Gli amici e le famiglie delle vittime sempre dimenticate non sono contenti e neppure io!», aveva twittato.

Ma Newsom, da anni in prima fila contro la pena capitale, gli aveva risposto con determinazione: «non credo che una società civilizzata possa affermare di essere leader nel mondo mentre il suo governo continua ad autorizzare l’esecuzione premeditata e discriminatoria della sua gente», aveva detto, ricordando che la pena di morte non è solo immorale e discriminatoria verso malati di mente, neri e poveri, ma anche inefficace, costosa e a volte infondata.

Una tesi condivisa dalla senatrice - ed ex procuratrice - californiana Kamala Harris, la prima dei candidati presidenziali dem a schierarsi con Newsom su un tema che divide ancora l'America.

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