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Brexit, Johnson allo scontro con l'Ue: vertici con Merkel e Macron

Boris Johnson

Strategia del dialogo bilaterale con Berlino e Parigi, muro contro muro con Bruxelles. Boris Johnson tiene alti i toni da ultimatum sulla Brexit, a due giorni dall’approdo a Downing Street, in barba alle messe in guardia che gli arrivano dal quartier generale dell’Ue come da diverse capitali europee.

E ribadisce il suo messaggio prendere o lasciare: rinegoziare l’accordo raggiunto da Theresa May otto mesi fa togliendo dal tavolo la garanzia vincolante del backstop sul confine aperto fra Irlanda del Nord e Irlanda o andare tutti - dritti dritti - al salto nel vuoto di un divorzio no deal. I segnali sono quelli di una deliberata volontà di entrare «in rotta di collisione con l’Unione Europea» per ragioni di politica interna, fiuta il governo di Dublino.

A meno di non riuscire a strappare quelle concessioni che Michel Barnier e Jean-Claude Juncker hanno ripetuto ieri al premier Tory entrante di togliersi dalla testa. Ma su cui Angela Merkel nei giorni scorsi è sembrata poter aprire se non altro un mezzo spiraglio. Proprio con la cancelliera dovrebbe essere in calendario il primo faccia a faccia del successore della May.

I due si sono sentiti al telefono, Merkel ha rivolto il suo invito e Johnson lo ha accettato, secondo i comunicati ufficiali. Mentre è fissato per «le prossime settimane» pure un vertice con il presidente francese, Emmanuel Macron, che nelle stesse ore ha a sua volta chiamato Boris per una prima presa di contatto. Potrebbe trattarsi di un doppio colloquio ispirato alla tattica del poliziotto buono (Merkel) e di quello cattivo (Macron).

Oppure dell’annuncio di una qualche proposta concertata da parte dell’asse franco-tedesco: sul backstop o magari su un potenziale alleggerimento condizionato del conto di divorzio, il cui mancato pagamento - avverte peraltro il commissario tedesco Ue Gunther Oettinger - metterebbe a rischio la solvibilità internazionale del Regno.

Di sicuro il tempo stringe e da Londra il nuovo governo a trazione brexiteer non sembra avere la minima intenzione di farsi condizionare dai moniti di chi, come la titolare francese degli Affari Europei, Amélie de Montchalin, chiede di evitare «giochetti, pose o provocazioni»: ossia ciò che molti hanno visto dietro la prima esibizione muscolare di ieri di Boris Johnson ai Comuni.

Downing Street non cambia d’altronde registro: «Non ho date» su una ripresa di colloqui a Bruxelles, taglia corto oggi un portavoce, aggiungendo che nell’ottica johnsoniana «le basi per discutere sono comunque chiare: l’accordo (May) non passerà in Parlamento e va riaperto». In quella sede il nuovo primo ministro sarà poi «energico nel cercare un deal, ma se un deal non sarà possibile» non verranno graditi altri rinvii: Londra «uscirà» in ogni caso il 31 ottobre, anche senz'accordo.

Esiste sempre la possibilità che sia un bluff, per provare a spaventare quei Paesi - la Germania su tutti - che il no deal lo temono per propri concreti interessi, al di là dei contraccolpi ancor più gravi che minaccerebbero l’economia d’oltremanica. Ma per il vicepremier di Dublino, Simon Coveney - reduce da colloqui a Belfast sul destino del governo locale nordirlandese, presente Julian Smith, uno dei nuovi ministri di Johnson - la sensazione è un’altra: che BoJo abbia «preso deliberatamente la decisione di mettere la Gran Bretagna in rotta di collisione con l'Ue e con l’Irlanda».

«C'è solo da domandarsi perché», riflette Coveney, lasciando intendere - senza dirlo - di sospettare al pari di molti commentatori londinesi che 'il Trump britannico' stia in realtà già pianificando ipotetiche elezioni anticipate: a cui ripresentarsi da paladino della Brexit e dell’orgoglio nazionale contro le rigidità degli eterni nemici eurocrati.

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