Malattie comuni, come tumori, anemie e infarto, sono il bersaglio della ricerca premiata con il Nobel per la Medicina. Ai vincitori del più ambito dei riconoscimenti scientifici, il britannico Sir Peter J. Ratcliffe e gli americani William G. Kaelin e Gregg L. Semenza, va il merito di avere ricostruito il meccanismo, antichissimo, che permette alle cellule di percepire l’ossigeno. Le loro ricerche da Nobel sono state finanziate dall’Unione Europea, tramite il Consiglio Europeo della Ricerca (Erc) e dagli americani National Institutes of Health (Nih). Il meccanismo scoperto è nato all’alba dell’evoluzione ed è analogo a quello usato dalle piante, come ha dimostrato lo studio in cui la ricerca italiana della Scuola Sant'Anna di Pisa ha incontrato quella britannica condotta da Ratcliffe. «Così come il cervello muore per carenza di ossigeno, una pianta può appassire e morire per la stessa condizione», ha osservato Pierdomenico Perata, che ha guidato lo studio italiano. Ratcliffe (65 anni), che ha lavorato a lungo a Oxford e dirige il Centro per la ricerca clinica dell’Istituto Francis Crick di Londra, si è concentrato sulla percezione dell’ossigeno nelle cellule tumorali e ha scoperto che il meccanismo è comune a tutte le cellule. In modo indipendente, gli altri due premiati avevano studiato lo stesso fenomeno. Semenza (63 anni), che dal 1999 insegna nella Johns Hopkins University, aveva identificato il gene coinvolto nella carenza di ossigeno (ipossia); Kaelin (62 anni), nella Johns Hopkins University e poi a Harvard ha individuato altre proteine coinvolte nell’ipossia. Indiscusso il valore di queste ricerche per le loro possibili applicazioni: potranno aiutare a capire molti processi fisiologici, come il funzionamento del metabolismo e del sistema immunitario, lo sviluppo embrionale e la respirazione, o l'adattamento all’alta quota; gli stessi strumenti potranno aiutare ad affrontare malattie come l’anemia e i tumori, infarto e ictus, fino alla riparazione delle ferite. Arrivare ai risultati premiati con il Nobel non è stato semplice né breve, considerando che le prime ricerche in questo campo risalgono a 88 anni fa. Aveva aperto la strada il fisiologo tedesco Otto Warburg, dimostrando che la conversione dell’ossigeno in energia dipende da un processo enzimatico e per questo si era aggiudicato il Nobel per la Medicina nel 1931. In seguito il belga Corneille Heymans, Nobel per la Medicina nel 1938, aveva individuato nella carotide cellule-sensori dell’ossigeno. Le ricerche sono andate avanti negli anni, finché Semenza non ha individuato un altro sensore dei livelli di ossigeno nel gene Epo. Parallelamente il gruppo di Ratcliffe studiava i meccanismi che regolano l’attività del gene Epo ed entrambe le linee di ricerca hanno finito per dimostrare che il gene è presente in tutti i tessuti. È cominciata così la caccia agli altri protagonisti della percezione dell’ossigeno finché nel 1995 Semenza ha scoperto il fattore che induce l’ipossia (Hif). Ha trovato una risposta ulteriore William Kaelin, scoprendo il ruolo di un altro gene, chiamato Vhl, capace di aiutare le cellule tumorali a superare l’ipossia.