La Turchia «attuerà presto la sua operazione militare pianificata da tempo nel nord della Siria» e le truppe degli Stati Uniti «non saranno più nelle immediate vicinanze». In una telefonata con Recep Tayyip Erdogan, Donald Trump annuncia la svolta della Casa Bianca: abbandono dei curdi, sostenuti e armati per anni nella lotta all’Isis, e campo libero all’invasione di Ankara. «È il momento per noi di sfilarci da ridicole guerre senza fine, molte delle quali tribali, e di riportare i nostri soldati a casa», ha twittato il tycoon per spiegare una decisione che apre un nuovo fronte a otto anni e mezzo dall’inizio della guerra in Siria, allarmando la comunità internazionale, dall’Ue all’Onu. «Non c'è un minuto da perdere» per cacciare «i terroristi» dell’Ypg, ha avvertito da parte sua Ankara dopo che le truppe americane avevano già lasciato all’alba le postazioni strategiche di frontiera a Ras al-Ayn e Tal Abyad. I blindati turchi si preparano a varcare il confine «in qualsiasi momento», ha assicurato Erdogan, che raccoglie i frutti di mesi di pressioni su Trump. Ma le forze curdo-siriane avvisano di essere pronte a «difendere a ogni costo» i propri territori. «La zona è ora diventata un teatro di guerra. Noi - ha detto il loro portavoce, Mustafa Bali - siamo determinati a difendere il nord-est a ogni costo». Parole che lasciano spazio anche a un possibile accordo di difesa con il regime di Bashar al Assad. L’offensiva militare di Ankara punta inizialmente ad allontanare i curdi dalla frontiera, ma resta da capire fin dove potrà spingersi l’avanzata sul terreno. Erdogan vorrebbe portarvi 2 milioni di rifugiati siriani dalla Turchia, ma per farlo - ha spiegato - occorrerà arrivare fino a Raqqa e Deir ez-Zor, ben oltre i 30 km previsti inizialmente dalla "safe zone" concordata con gli Usa. Pesa anche l’incognita sul destino dei miliziani dell’Isis attualmente nelle carceri siriane, che i curdi stimano in 12 mila, e dei loro 70 mila familiari. «Numeri esagerati», ha replicato Erdogan, promettendo di rimandarli nei «Paesi d’origine», che finora hanno rifiutato di farsene carico. Per i curdi, che hanno vissuto la mossa di Trump come «una pugnalata alle spalle», c'è il rischio di una fuga di massa. Sull'operazione l’Unione europea ha espresso «preoccupazione». Nell’audizione al Parlamento europeo, l’Alto rappresentante designato Joseph Borrell l’ha definita «una minaccia all’integrità» della Siria. Anche la Russia ha invitato alla prudenza per non danneggiare il prossimo avvio dei lavori della Costituente. E l’Onu ha lanciato l’allarme sulle conseguenze umanitarie: «Ci stiamo preparando al peggio». Nell’area vivono due milioni di civili e, secondo le ong, si rischiano 300 mila sfollati «immediatamente» dopo l’avvio di un’offensiva. In una cacofonia di voci tutta interna all’amministrazione americana, il Pentagono ha precisato in serata che gli Usa non sostengono l’operazione turca, avvertendo anzi sulle possibili «conseguenze destabilizzanti» e ridimensionando a «meno di 25 soldati» il riposizionamento americano. E resta infatti un punto interrogativo il ritiro dei circa mille soldati Usa nell’area, che era già stato annunciato da Trump a fine 2018 ma criticato dai suoi stessi alleati. Dure sono anche stavolta le polemiche interne. Il repubblicano Lindsay Graham, che guida la commissione giustizia del Senato, ha parlato di un «disastro annunciato» e chiesto al presidente un passo indietro. I timori riguardano anche il messaggio che Washington manderebbe ai suoi alleati. Allarmi cui il tycoon ha replicato deciso: «Come ho detto in passato, se la Turchia fa qualcosa che io, nella mia insuperabile saggezza, considero off limits distruggerò e annienterò l’economia della Turchia (l'ho già fatto in passato!)». Secondo Trump però, «gli Stati Uniti hanno fatto molto di più di quanto ci si potesse attendere, inclusa la cattura del 100% del Califfato dell’Isis. È ora che altri nell’area, alcuni molti ricchi, proteggano il loro territorio».