«Quei dazi sono per noi un risarcimento. L’Europa ci ha trattati malissimo e quindi andremo avanti così». Dopo aver parlato per mezz'ora di Siria, ritiro delle truppe americane e tanta politica interna dallo Studio Ovale della Casa Bianca - confermando così una rottura traumatica del cerimoniale presidenziale - Donald Trump risponde con durezza alla proposta di Sergio Mattarella che con difficoltà era riuscito ad introdurre il tema dei dazi Usa ai Paesi dell’Unione europea, condannati dal Wto ad un risarcimento di 7,5 miliardi per gli aiuti di Stato forniti ad Airbus. La lettura a caldo di questa lunghissima giornata alla Casa Bianca del presidente della Repubblica è univoca: «scontro».
Siderale la differenza di stile e di impostazione politica tra i due presidenti: da una parte un Trump bulimico e perennemente all’attacco del partito democratico, dall’altra un Mattarella espressione del dialogo, riservatissimo e visibilmente perplesso in conferenza stampa di fronte all’inarrestabile logorrea del padrone di casa. Difficile fare calcoli esatti, ma Trump ha parlato almeno venti volte più di quanto abbia voluto - e potuto - fare il capo dello Stato che, comunque, ha risposto punto per punto ai temi caldi.
Scontro sui dazi quindi, ma non solo. Differenze di posizione sono emerse anche sulle richieste dell’amministrazione americana di aumentare le spese per la Difesa dell’Alleanza atlantica e sull'attacco della Turchia ai curdi siriani. A poco sono servite le reiterate premesse di amicizia imperitura tra Washington e Roma e la dichiarazione iniziale di Trump: «I rapporti con l'Italia sono ottimi, non sono mai stati così buoni». Una giornata così non si poteva che concludere con uno dei dossier più spinosi sia per gli americani che per gli italiani: il Russiagate, con l’appendice del caso Barr, cioè il fedelissimo ministro della Giustizia del tycoon che quest’estate è venuto per due volte in incognito a Roma per incontrare i vertici dei servizi segreti italiani. Una storia tutta da chiarire e sulla quale è atteso al Copasir il premier Giuseppe Conte.
Trump ha confermato che senza dubbio il rapporto di Barr scoprirà «molta corruzione» e sarà presto pubblicato. Lanciando una velata accusa anche all’Italia: «Si è cercato di nascondere ciò che si stava facendo in alcuni Paesi, tra questi potrebbe esserci l'Italia», ha detto nel corso di una lunghissima conferenza stampa. Eppure il presidente Mattarella era partito cercando di promuovere una moral suasion sui dazi, spiegando che era "preferibile confrontarsi subito e tenere conto delle diverse posizioni». L’alternativa sarebbe stata «il rischio di metterci su una strada che in ogni caso necessiterà di un punto d’incontro e allora tanto vale cercarlo subito».
Ma la secca replica di Trump che ha più volte almanaccato gli squilibri commerciali con l’Ue ha indotto Mattarella ad essere più chiaro ricordando che presto potrebbe arrivare una seconda decisione del Wto contro l’americana Boeing: «L'alternativa è imporre dazi che porterebbero reazioni per poi trovarci tra qualche mese ai provvedimenti Wto sui finanziamenti alla Boeing». Controreplica di Trump: «Non vogliamo essere duri con l’Italia, vedremo di affrontare l’argomento».
Posizioni diverse anche sulle spese militari per la Nato per le quali da tempo gli Stati Uniti hanno alzato la voce celebrando la necessità di un riarmo e ammodernamento dell’Alleanza. Puntuale la risposta di Mattarella che ha ricordato come l’Italia sia attualmente il quinto contributore della Nato e, soprattutto, il secondo per quanto riguarda le missioni militari sia in ambito Nato che multilaterale. E infine, l’ultimo botta e risposta non poteva che essere sull'attacco turco in Siria. Trump ha confermato la scelta di ritirare tutte le truppe Usa dicendo chiaramente che ora spetta a Turchia e Siria risolvere la grana curda e che basteranno le sanzioni contro Ankara. Di tutt'altro avviso Mattarella, che ha ribadito senza peli sulla lingua che «quello della Turchia è stato un grave errore che l’Italia ha condannato senza esitazioni. La soluzione non sta nelle sanzioni, che pur saranno inevitabili. La soluzione sta nello stop delle operazioni militari e nel ritiro della Turchia». In prima fila c'era il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
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