Oltre mezzo milione di persone scese in piazza, strade bloccate, voli cancellati, il centro di Barcellona completamente paralizzato e ancora disordini, cariche della polizia e arresti: le proteste contro la condanna al carcere per i nove leader separatisti catalani sono arrivate al quinto giorno di fila, con quella che finora è stata la manifestazione più imponente, convocata insieme a uno sciopero generale indetto da alcune sigle sindacali indipendentiste. La città è stata letteralmente presa ostaggio dalla protesta. Una folla di centinaia di migliaia di sostenitori della causa separatista - 525.000 persone secondo la polizia municipale -, è arrivata da tutta la regione e si è riversata nella capitale catalana. Dopo tre giorni di marcia, sono confluiti nel pomeriggio nel centro cittadino i cinque cortei che erano partiti mercoledì scorso da Girona, Berga, Vic, Tarrega e Tarragona. Una prova di forza che ha fatto esultare il presidente della Generalitat catalana Quim Torra: «La marcia per la libertà ha riempito il Paese! Vinceremo e andremo avanti». La fiumana di persone ha bloccato le principali vie d’accesso alla città: una ventina le strade off limits, tra le quali la principale arteria transfrontaliera che collega la regione autonoma con la Francia. Nel centro ci sono state anche stazioni della metropolitana chiuse mentre all’aeroporto sono saltati 57 voli. Il grosso della manifestazione si è svolto in maniera pacifica ma anche stavolta, come nei giorni scorsi, non sono mancati i disordini e le tensioni. Davanti al quartier generale della polizia locale si sono visti lanci di oggetti di ogni genere: biglie di acciaio, pietre, addirittura c'è chi si è messo a scagliare transenne in metallo. Cassonetti sono stati incendiati e trascinati in mezzo alla strada a fare da barricate. Alcuni cartelli stradali sono stati segati via. La polizia in tenuta antisommossa ha risposto con delle cariche per disperdere i violenti. I 'Mossos de Esquadrà hanno arrestato almeno tre manifestanti, due dei quali minorenni. E’ rimasto dunque inascoltato l’appello del premier Pedro Sanchez: «Manifestare è diritto, ma sia pacifico», aveva ammonito poco prima della protesta. Anche il ministro degli Interni Fernando Grande-Marlaska aveva sottolineato, in vista della manifestazione, che «la violenza non sarebbe rimasta impunita», anche se gli episodi dei giorni scorsi, ha sottolineato, sono da attribuire a «gruppi minoritari ma ben organizzati». Un tribunale intanto ha ordinato la chiusura del sito web dello 'Tsunami Democratic', l’app usata dai manifestanti per darsi appuntamento. Ma gli attivisti hanno già annunciato di avere aperto un nuovo dominio. Le tensioni di questi giorni hanno avuto anche un contraccolpo sul calcio iberico. Alla luce degli scontri di questi giorni, il classico Barcellona-Real Madrid in programma il prossimo 26 ottobre è stato rinviato a data da destinarsi dalla federcalcio spagnola, per ragioni di sicurezza. L’ipotesi è di recuperare il match il 18 dicembre. In Belgio, intanto, l’ex presidente della Catalogna Carles Puigdemont si è consegnato spontaneamente alle autorità dopo il nuovo ordine di cattura internazionale emesso nei giorni scorsi dalla Corte suprema spagnola a suo carico. Il leader separatista, che in Belgio ha trovato rifugio dalla fine del 2017 dopo il referendum sull'indipendenza, è stato poi rilasciato e ha spiegato di non essere intenzionato a lasciare il Paese.