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La tregua in Siria resta fragile, raid al confine contro i curdi

Una tregua fragile, con ripetute violazioni. Nelle prime ore del cessate il fuoco, concordato ieri sera da Turchia e Stati Uniti nel nord-est della Siria, non si fermano i raid di Ankara e gli scontri sul terreno. Nonostante una «relativa calma» in gran parte del confine, il conflitto è proseguito di fatto a Ras al Ayn, la località strategica che da diversi giorni è sotto assedio dell’esercito di Recep Tayyip Erdogan.

Secondo i curdi e l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus), la Turchia ha continuato a bombardare da terra e dal cielo, mentre le milizie locali sue alleate hanno impedito l’ingresso dei convogli di aiuti, fermi alle porte della cittadina. Ma Erdogan bolla le notizie di violazioni della tregua come «disinformazione» e assicura che il ritiro dei combattenti nemici, che dovrà concludersi entro martedì sera, «è cominciato».

«Ho appena parlato con il presidente turco Erdogan. Mi ha detto che c'era un cecchino poco importante e un colpo di mortaio che sono stati eliminati rapidamente. Lui vuole moltissimo che il cessate il fuoco, o pausa, funzioni. Allo stesso modo lo vogliono i curdi», ha twittato Donald Trump, assicurando che «c'è buona volontà da entrambe le parti e un’occasione davvero buona per il successo».

Il leader di Ankara ha ribadito però che tutto dipende dal ritiro dei «terroristi» dalla zona di sicurezza. Se non sarà completato entro i 5 giorni stabiliti, ha minacciato, l’operazione militare riprenderà «in modo ancora più determinato». Nel primo intervento dopo l'accordo, Erdogan ha anche attaccato «l'ipocrisia» dei leader europei («Un’accusa che respingo», gli ha risposto a distanza il premier Giuseppe Conte).

Nel mirino c'è ora il faccia a faccia con Vladimir Putin di martedì a Sochi, proprio poche ore prima della scadenza dell’ultimatum. «Considero l’incontro come un altro elemento di questo processo». La Turchia non avrà problemi se la Russia rimuoverà «i terroristi» anche da Manbij e Kobane, ha assicurato, precisando però che le sue truppe «resteranno per controllare se l’organizzazione terroristica lascerà effettivamente la zona» e gestire la successiva fase di messa in «sicurezza», con il trasferimento iniziale di almeno un milione di rifugiati.

Nell’area saranno anche create 12 postazioni di monitoraggio militare. I soldati turchi, ha aggiunto, hanno intanto catturato 195 miliziani dell’Isis dei 750 che secondo Ankara erano stati liberati dai curdi per seminare il caos. Nonostante la tregua dichiarata, a Ras al Ayn è stata una delle giornate più drammatiche. Almeno 7 sono i civili rimasti uccisi e 21 quelli feriti nei raid aerei di Ankara, secondo l'Ondus, che riferisce anche di numerosi scontri con vittime tra curdi e milizie filo-turche.

Le milizie curde hanno anche rivendicato l’abbattimento di un elicottero turco, non confermato al momento da altre fonti. Intanto, dopo le denunce curde sull'uso di armi chimiche vietate, seccamente respinte da Ankara ma sotto indagine da parte dell’Onu e dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, arrivano oggi nuove pesanti accuse da Amnesty International, che parla di «crimini di guerra». Secondo l’ong, ci sono stati «omicidi sommari e attacchi illegali» e un «vergognoso disprezzo per la vita dei civili».

Tra i casi segnalati c'è anche la brutale esecuzione sommaria dell’attivista curda Hevrin Khalaf e della sua guardia del corpo da parte di milizie siriane addestrate e armate dalla Turchia. Ci sono «prove schiaccianti di attacchi indiscriminati in aree residenziali - denuncia Amnesty - compresi attacchi a una casa, un panificio e una scuola».

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