Gli scontri violenti e gli scenari da guerriglia urbana sono pesantemente ritornati sulle strade di Hong Kong, nel primo giorno del 22/mo weekend di fila di proteste anti-governative e pro-democrazia, malgrado il monito lanciato venerdì della Cina secondo cui non sarebbe stata tollerata alcuna sfida al sistema di governo dell’ex colonia. Per tutta risposta, gli atti di vandalismo hanno avuto nuovo slancio contro le attività commerciali riconducibili a Pechino, colpendo per la prima volta la sede della Xinhua, l’agenzia di stampa ufficiale, un vero simbolo. Graffiti sui muri, vetrate in frantumi, porte danneggiate e principio di incendio (subito domato) per il lancio di una molotov sono stati gli scenari ripresi dai media locali negli uffici dell’agenzia del distretto di Wan Chai, dove alcuni giornalisti erano ancora al lavoro. La Hong Kong News Executives' Association e la Hong Kong Journalists Association hanno diffuso i rispettivi comunicati di condanna dell’attacco, sollecitando la polizia a fare luce. Tra molotov, lacrimogeni, cannoni ad acqua, spray urticanti, manganelli e barricate, migliaia di persone, in gran parte ragazzi ben equipaggiati con la divisa scura, hanno sfidato il divieto sulle manifestazioni non autorizzate e sull'uso delle maschere negli eventi pubblici, approvato di recente. La tattica adottata dalla polizia già dalla scorsa settimana, di azione aggressiva e immediata per disperdere la folla, ha mostrato i suoi limiti di fronte ai rapidi spostamenti dei dimostranti: i lacrimogeni e gli spray al peperoncino hanno poi colpito i media e addirittura i vigili del fuoco, secondo la testimonianza della tv pubblica Rthk. Dopo i primi tafferugli a Victoria Park, dove nel pomeriggio erano in corso iniziative non autorizzate, gli scontri hanno interessato le zone centrali ad alta densità abitativa: Causeway Bay, Wan Chai, Central, Mong Kok e Tsim Sha Tsui, coi danneggiamenti alle stazioni della metro. La nuova ondata di violenza ha snobbato il pesante monito del governo centrale dopo il plenum del Partito comunista cinese, tra la necessità di rafforzare il controllo sulla città, risolvere i nodi sulla sicurezza nazionale, la verifica e la supervisione dei principali funzionari dell’ex colonia per testarne la lealtà. La priorità è «difendere sovranità e sicurezza nazionale», puntando a tutelare «la prosperità e la stabilità» della città. Tra le altre misure, il miglioramento del sistema di nomina del chief executive (governatore) e quello legale, il rafforzamento dell’educazione per «un più forte senso d’identità nazionale». Su sicurezza ed educazione ci sono stati due tentativi di riforma, nel 2003 e nel 2011, naufragati per le proteste. La Cina rispetta «un Paese, due sistemi», il modello che regole l’autonomia di Hong Kong, ma il «due sistemi» è «legato e derivato» dall’accettazione di «un Paese», ha ammonito nella conferenza stampa di venerdì Shen Chunyao, direttore della Commissione su Hong Kong, Macao e la Basic Law. Shen ha chiarito che Pechino «non tollererà mai atti che possano» minacciare la sicurezza nazionale, i tentativi di dividere il Paese e le interferenze «di forze esterne». Al bilancio serale, la polizia, secondo i media locali, ha effettuato molti arresti, tra cui 5 nel blitz in un appartamento a Wan Chai, dove sono state trovate 188 molotov, tra finite e in preparazione, più altre armi da offesa. Sarebbero 11 le persone soccorse in ospedale, tra cui un uomo in gravi condizioni. Il clima non è destinato a migliorare in vista delle elezioni distrettuali del 24 novembre, dal quale è stato appena escluso Joshua Wong, figura di rilievo tra gli attivisti pro-democrazia ed ex leader del 'movimento degli ombrelli' del 2014