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Michael Bloomberg scalda i motori per la corsa alla Casa Bianca

Il miliardario Michael Bloomberg, uno degli uomini più ricchi d’America, scalda i motori per la corsa alla Casa Bianca preparando la sua candidatura alle primarie dem in Alabama, dove i termini scadono oggi. Il suo entourage ha sottolineato che il magnate non ha ancora preso la decisione finale ma questa mossa è un passo preliminare che gli consente di tenersi la porta aperta.  Se scenderà in campo, cambierà il paesaggio della campagna elettorale.

Non solo per i dem ma anche per Donald Trump, che ha già cominciato a provocarlo affibbiandogli uno dei suoi nomignoli in vista di una possibile sfida tra tycoon newyorchesi. «Non c'è nessuno contro cui preferisca correre più del piccolo Michael», ha assicurato per poi demolirlo.

«Non farà bene e penso che in realtà danneggerà Biden. E’ diventato solo una nullità, non ha il tocco magico per fare bene, spenderà un sacco di soldi ma fallirà», ha profetizzato in una delle sue conferenze stampa, mentre fioccano le testimonianze dei diplomatici nell’indagine di impeachment sulle sue pressioni a Kiev per far indagare i Biden. 

«Non mi preoccupano», ha tagliato corto il tycoon, rivelando anche una precedente telefonata in aprile al presidente ucraino Volodymyr Zelensky che è pronto a divulgare e denunciando le udienze pubbliche al Congresso, quando finora aveva criticato quelle a porte chiuse. Un dietrofront che cela il timore di un processo in diretta tv che potrebbe rafforzare il consenso dell’opinione pubblica per l’impeachment, mentre diventa sempre più teso anche il rapporto del presidente con l’attorney general William Barr, che non lo ha difeso pubblicamente, a differenza di quanto avvenne con il rapporto Mueller sul Russiagate. Intanto in campo dem ci si interroga su Bloomberg, pronto a correre perché vede indebolirsi la candidatura del moderato Joe Biden e resta convinto che l’alternativa offerta da Elizabeth Warren e Bernie Sanders sia troppo di sinistra e quindi perdente in un duello con Trump.

Non a caso i primi a reagire sono stati proprio i due senatori, che hanno proposto una tassa sui più ricchi e che sono invisi a Wall Street. Sanders ha reagito indirettamente con un tweet: «La classe dei miliardari è spaventata e deve essere spaventata». La Warren invece lo ha sfidato apertamente: «Benvenuto nella gara Mike Bloomberg! Se stai cercando piani politici che facciano una grande differenza per la gente che lavora e che sono molto popolari, comincia da qui», ha cinquettato postando un calcolatore con cui i miliardari possono calcolare quanto pagheranno con la sua 'wealth tax'. Se Jeff Bezos, l’uomo più ricco del mondo (112 miliardi di dollari), pagherebbe 6,6 miliardi, Bloomberg, al quinto posto, verserebbe invece 3 miliardi su una fortuna di 52.

Silenzio invece da Biden, che sarebbe il più danneggiato dalla corsa del magnate, dal simile profilo moderato. Dalla sua Bloomberg ha un impero economico che gli consentirebbe di far fronte ai costi della campagna e l’esperienza di tre mandati da sindaco di New York, dal 2002 al 2013. Contro l’età (77 anni) e un percorso politico che lo ha visto nascere democratico, passare con i repubblicani, diventare indipendente, per poi tornare all’ovile un anno fa: un passato che può raffreddare gli entusiasmi della base dem ma che è riscattato da consolidate posizioni progressiste sulle armi, sul clima, sui diritti civili. E che, in caso di nomination, potrebbe intercettare i voti di molti repubblicani e indipendenti.

Facebook intanto ha lanciato il suo piano per proteggere le elezioni da interferenze straniere e disinformazione, dichiarando guerra a fake news e falsi account. «Abbiamo la responsabilità di fermare ogni abuso e interferenza sulla nostra piattaforma», ha affermato il gruppo di Mark Zuckerberg, che ha messo a punto protocolli di sicurezza che vanno dalla difesa degli account dei candidati e dei partiti alla sorveglianza della rete attraverso il lavoro di una vera e propria war room.

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