La Bolivia si è svegliata oggi in un clima di incertezza, caos istituzionale e assoluto vuoto di potere dopo la drammatica giornata che ha portato alle dimissioni del presidente Evo Morales, con molte voci che all’interno del Paese (a partire dallo stesso Morales) e a livello internazionale definiscono l’accaduto «un colpo di Stato». Per 24 ore La Paz, e la vicina città gemella di El Alto, sono state al centro di ripetuti scontri, con atti di vandalismo e di violenza da parte di gruppi di militanti di entrambe le fazioni in conflitto, che hanno incendiato edifici e veicoli privati e pubblici, saccheggiando negozi e supermercati.
La polizia, che ha a lungo rinunciato ad intervenire per respingere le azioni violente, lo ha fatto soltanto quando il suo comandante in capo, il generale Yuri Calderon, considerato vicino al governo uscente, ha rinunciato al suo incarico. Morales, che dopo aver annunciato di aver scritto una lettera di dimissioni si è trincerato nella sua roccaforte del Chapare, nel dipartimento di Cochabamba, ha chiesto ai suoi oppositori, Carlos Mesa e Luis Fernando Camacho, di «assumersi la responsabilità di pacificare il Paese e garantire la stabilità politica e la convivenza pacifica del nostro popolo». Per poi definirli entrambi su Twitter «cospiratori, razzisti e golpisti».
I vertici del Tribunale elettorale sono stati invece arrestati ieri sera con l’accusa di brogli nelle elezioni generali del 20 ottobre. Il problema principale che affrontano le forze di opposizione (partiti e comitati civici) che si sono aggiudicate la vittoria politica è che lo Stato boliviano è al momento praticamente decapitato, viste le dimissioni presentate da Morales, dal suo vice Alvaro Garcia Linera, dai presidenti di Senato e Camera e anche dal primo vicepresidente della Camera Alta. Tecnicamente, fra l’altro, le dimissioni del capo dello Stato saranno effettive solo quando ci sarà una loro approvazione da parte del Parlamento, la cui riunione è però per il momento di là da venire. Questo fa sì che per il momento Morales resta ancora il presidente in carica. Inoltre si deve ricordare che il governativo Movimento al socialismo (Mas) ha il controllo dei 2/3 sia del Senato (25 membri su 36) sia della Camera (88 su 130), per cui senza una sua partecipazione non sarà mai possibile ottenere un quorum per procedere ad una transizione basata sulla Costituzione. In un preoccupato appello per risolvere questo problema, sia i comitati civici guidati Camacho sia il partito Comunidad Ciudadana di Mesa hanno lanciato un appello per permettere a senatori e deputati del Mas di raggiungere l’edificio del Parlamento senza subire attacchi.
A livello internazionale, è grande la preoccupazione per gli eventi boliviani, con vibranti appelli alla moderazione e al rispetto della Costituzione rivolti alle parti in conflitto da parte di Onu, Osa, Unione europea (Ue) e Cina. Più decisamente però, alcune nazioni (fra cui Russia, Messico, Uruguay, Venezuela e Cuba) e vari organismi internazionali (Gruppo di Puebla e l’Alba, Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America) non hanno esitato a definire un «colpo di Stato" l'obbligo di rinuncia imposto a Morales con il contributo decisivo dei militari. In Italia lo stesso ha fatto il M5s in una nota firmata dai senatori pentastellati della Commissione Esteri di Palazzo Madama, nella quale si condanna «con forza il golpe in Bolivia organizzato dall’opposizione di destra e dai militari».
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