Accordo tra i socialisti e Podemos per dare finalmente un governo alla Spagna. L’immagine simbolo della svolta è l’abbraccio che i leader delle due anime della sinistra, Pedro Sanchez e Pablo Iglesias, si sono scambiati oggi davanti a fotografi e telecamere dopo mesi di incomunicabilità che avevano riportato il Paese alle urne per la quarta volta in quattro anni.
Stavolta tutto si è consumato in 48 ore, con una trattativa super segreta sfociata nella firma oggi al Congresso di
un’intesa nella quale Sanchez e Iglesias si impegnano a trattare per formare un governo di coalizione «senza veti». «Un governo progressista», hanno sottolineato i due leader, «un accordo per quattro anni, di legislatura», ha rimarcato Sanchez, come a tentare di recuperare in extremis la sua promessa di stabilità, in nome della quale aveva indetto il nuovo voto domenica scorsa.
Non è un mistero che Sanchez puntasse a un monocolore socialista. E per questo aveva chiesto il voto agli spagnoli. Ma il Parlamento uscito dalle urne è risultato ancor più frammentato del precedente, e allora la svolta per il Psoe, per
Sanchez in particolare, è dettata dal realismo: la stessa intesa con Podemos, con numeri più agili, la si poteva tentare già quest’estate, ma il gioco dei veti incrociati aveva fatto saltare tutto. Ora l’avanzata dell’ultradestra Vox, il crollo di
Ciudadanos e soprattutto l’esasperazione degli elettori non hanno lasciato scelta.
Ieri sera l’incontro rimasto riservatissimo fra Sanchez e Iglesias in cui è nato l’accordo, con l’obbligo di mettere da
parte le reciproche diffidenze e rigidità: stando alle indiscrezioni, al leader di Podemos sarebbe garantito il ruolo
di vicepremier nel prossimo eventuale governo.
Il margine d’azione resta però strettissimo, perché insieme Psoe e Podemos hanno soltanto 155 deputati, una cifra lontana dai 176 necessari per la maggioranza in Parlamento. I due devono quindi da subito lanciasi alla ricerca di appoggi tra le piccole formazioni regionali, con numeri limitatissimi, giacché i partiti di maggior peso hanno già alzato il muro davanti all’intesa. I popolari di Pablo Casado, che pure ancora stamattina avevano aperto uno spiraglio a una grande coalizione con i socialisti o quantomeno ad un’astensione per favorire la nascita di un esecutivo, hanno chiuso ora la porta di fronte alla «preoccupante» intesa con Podemos. Lo stesso ha fatto Ciudadanos che, pur ridimensionato a 10 seggi, sarebbe tornato più che utile a Sanchez.
I conti sono presto fatti e riguardano i tre deputati di Mas Pais, formazione di sinistra nata da una costola di Podemos, i nazionalisti baschi del Pnv, che ne contano sette, e tutta una costellazione di sigle regionali. L’obiettivo dei 176 voti favorevoli in aula per passare alla prima votazione non sarebbe comunque raggiunto. Ma al secondo voto, in cui è sufficiente la maggioranza relativa, la proposta Sanchez-Iglesias potrebbe passare con l’astensione di Ciudadanos o degli indipendentisti catalani di Erc, una scelta quest’ultima che comporterebbe però non pochi rischi con la ferita della Catalogna ancora aperta.
L’obiettivo sarebbe arrivare ad un governo entro Natale. Dopo l'insediamento del nuovo Parlamento, il re dovrà conferire l'incarico a Sanchez in quanto leader del partito di maggioranza relativa e a quel punto si apriranno le consultazioni formali.
All’attacco del nuovo ipotetico governo di sinistra, oltre a Casado, è andato ovviamente a testa bassa il capo dell’estrema destra di Vox: «Il Psoe abbraccia il comunismo bolivariano, gli alleati di un colpo di Stato, nel mezzo di un colpo di Stato», ha tuonato via Twitter Santiago Abascal, che ha costruito il suo boom elettorale ponendosi come argine alla sfida separatista catalana in difesa dell’unità della Spagna. «Li riterremo responsabili di ogni danno che produrranno alla convivenza e all’ordine costituzionale», ha avvertito il leader sovranista.
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