Giovedì 19 Dicembre 2024

Giovane rapita in Kenya, Silvia Romano è nelle mani di un gruppo islamista somalo

Silvia Romano

A quasi un anno dal sequestro va avanti, senza poche difficoltà, l'inchiesta della Procura di Roma sulla sorte di Silvia Romano, la cooperante milanese di 24 anni, rapita in Kenya. I tasselli dell'indagine dei carabinieri del Ros portano ad una certezza: la ragazza si trova in Somalia nella mani di un gruppo islamista legato al jihadisti di Al-Shabaab. Gli sviluppi del procedimento, coordinato dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco, sono legati all'analisi dei documenti messi a disposizione dei nostri inquirenti dalle autorità kenyote nell'agosto scorso e in particolare verbali e tabulati telefonici. Elementi, comunque, sufficienti a far valutare l'invio in Somalia di una rogatoria internazionale anche se il quadro politico e istituzionale del Paese africano rende complessa questo tipo di iniziativa. I documenti in mano agli investigatori hanno, quindi, rafforzato la convinzione che Silvia sia stata trasferita in Somalia subito dopo il suo rapimento, avvenuto il 20 novembre dell'anno scorso in un centro commerciale nella città di Chacama, a circa ottanta chilometri dalla capitale Nairobi. Attualmente la ragazza si troverebbe in una area della Somalia dove gravitano milizie locali legate al gruppo terroristico di matrice islamica. Quello della Romano è stato un trasferimento lampo. Un blitz organizzato in Somalia da un gruppo che ha fornito alla banda di criminali comuni kenyoti, autori materiali del sequestro, denaro e mezzi. Al momento sono otto i componenti della banda identificati di cui tre fermati e attualmente in carcere. Nei confronti di Abdulla Gaba Wario, Moses Luwali Chembe e Said Adhan Abdi la Procura generale del Kenya contesta il reato di "cospirazione con finalità di commettere un atto di terrorismo" oltre al sequestro di persona e possesso illegale di armi da fuoco. La pista somala nella vicenda della nostra connazionale è emersa l'estate scorsa, grazie anche all'attività di collaborazione tra inquirenti italiani e kenyoti. In base a quanto accertato, prima e dopo il sequestro ci sono stati contatti telefonici tra gli autori materiali del rapimento e la Somalia. Altro elemento acquisito è che si è trattato di un sequestro su commissione perchè i mezzi (armi e moto) di cui erano dotati i rapitori sono giudicati da chi indaga "sproporzionati" rispetto al livello medio delle bande criminali kenyote. Infine la fuga, dopo che Silvia era stata prelevata, avvenuta in direzione della Somalia. Risultati investigativi ottenuti anche grazie anche al supporto dell'intelligence italiana. La conferma dell'esistenza in vita di Silvia (almeno fino al 26 dicembre scorso) era arrivata alle autorità locali da due degli arrestati. La banda, dopo avere pedinato per alcuni giorni la cooperante, l'aveva prelevata nel centro commerciale. L'azione avvenne nella contea di Kilifi: Silvia fu bloccata e, dopo averle gettato via il passaporto e il telefono cellulare, fatta salire a bordo di una motocicletta e portata verso una boscaglia nei pressi del fiume Tana.

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