Sabato 23 Novembre 2024

Gb, Johnson promette la Brexit come regalo di Natale

La Brexit come regalo di Natale, per poi «dar forma a una nuova Gran Bretagna» e «scatenarne tutto il potenziale». È l’ottimismo - fondato o meno che sia - la cifra del manifesto elettorale del Partito conservatore illustrato oggi da un Boris Johnson sempre più favorito dai sondaggi a tre settimane scarse dal voto del 12 dicembre nel Regno Unito. Un messaggio semplice, con dettagli volutamente scarni sul resto del programma, che il primo ministro ha sintetizzato in meno di un quarto d’ora fra le ovazioni di una sala amica di sostenitori e notabili Tory nella periferica Telford, cuore di uno dei collegi in bilico delle West Midlands inglesi. Puntando tutto o quasi tutto sullo slogan «Get Brexit Done», con una spruzzata di promesse di spesa, ma senza nuove tasse, e col mirino puntato alzo zero sul rivale laburista Jeremy Corbyn. Il manifesto di Telford si condensa in 59 pagine, 40 in meno dell’assai più articolata piattaforma da 83 miliardi di sterline presentata nei giorni scorsi dal Labour all’insegna d’annunci di riforme radicali, giustizia sociale e fiscale, nazionalizzazioni. E trasuda personalismo fin dalla copertina, dominata dalla chioma bionda di Johnson all’opposto del richiamo collettivo al colore rosso scelto dal partito di Corbyn. «Le prossime elezioni saranno le più cruciali nella memoria moderna», esordisce Boris dal podio, «mai la scelta è stata così estrema». Da un lato, nella sua narrativa, c'è la chance di una chiara vittoria conservatrice, con maggioranza assoluta alla prossima Camera dei Comuni, che significherebbe ratifica ipso facto dell’accordo di divorzio dai 27 prima di Natale e uscita dall’Ue entro la scadenza del 31 gennaio. Dall’altra l’unica alternativa realistica di un 'hung Parliament', un parlamento frammentato, e magari di una coalizione fra laburisti e indipendentisti scozzesi dell’Snp destinato a prolungare «l'incertezza e i rinvii» con due ipotetici referendum bis: sia sulla Brexit sia sulla secessione della Scozia da Londra. Un incubo, stando a Johnson, che irride «l'indecisione di monsieur Corbyn» (così lo chiama), la sua convinzione di poter negoziare un deal più soft a Bruxelles e il suo impegno di sottoporlo poi a rivincita referendaria restando personalmente «neutrale» per lasciare l’ultima parola al popolo. «È un leader questo?», ammicca a un certo punto, aizzando la platea. Il compagno Jeremy resta sotto tiro d’altronde anche sugli altri temi della campagna. Alla ricetta del Labour, bollata come «marxista», il premier Tory risponde evocando a sua volta investimenti pubblici e la fine dell’austerity, ma in misura molto più sfumata e con l’impegno «blindato» a escludere per i 5 anni della nuova legislatura aggravi fiscali su qualunque reddito, sui contributi assistenziali e sull'Iva. Non senza la promessa di stanziamenti da 6,3 miliardi di sterline per l'edilizia e l’ammodernamento ambientale delle case, mezzo miliardo per un fondo d’aiuto ai giovani «talenti», risorse aggiuntive per sanità (Nhs), scuola e sicurezza nelle strade. Bene per l’affannato concorrente euroscettico Nigel Farage, che può solo accusare Boris di avergli rubato le idee. Poca cosa di fronte alla diseguaglianze sociali d’Oltremanica nell’ottica della sinistra. L’economista Paul Johnson, guru dell’autorevole Institute for fiscal studies (Ifs), pare dal canto suo scettico: dubbioso sul fatto che il Labour possa attuare i propri piani alzando le tasse solo al 5% più benestante del Paese, come stima Corbyn; ma ancor di più sulla possibilità di Bojo e soci di realizzare i loro senza toccare affatto la leva fiscale. Intanto rimangono due giorni per iscriversi alla liste elettorali del Regno. Mentre un ultimo sondaggio condotto da Opinum per il progressista Observer regala al partito del premier un consenso record del 47%, con il Labour fermo al 28, i liberaldemocratici pro Remain di Jo Swinson in netto calo al 12 e il Brexit Party di Farage riassorbito addirittura a un misero 3% (dal trionfale 30 che ebbe alle elezioni europee di maggio): dati da prendere con le molle, visti i precedenti e le incognite collegio per collegio del sistema maggioritario britannico, ma certo incoraggianti per le speranze e la 'hybris' di Boris.

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