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Rivolta finisce nel sangue a Baghdad e nel sud dell’Iraq

Una vera e propria rivolta repressa nel sangue è in corso a Baghdad e nel sud dell’Iraq, dove nelle ultime ore decine di persone, per lo più giovani manifestanti disarmati, sono state uccise dall’esercito e dalle forze di sicurezza. La maggior parte delle vittime è stata colpita con pallottole sparate alla testa e al petto. Epicentro delle violenze di oggi è stata Nassiriya, città nel sud dell’Iraq.

Qui si contano almeno 25 uccisi e oltre 200 feriti, ma il bilancio è in continuo aggiornamento. Ieri sera gli incidenti più gravi si erano registrati a Najaf, città santa sciita, dove è stato preso d’assalto e incendiato il consolato iraniano. Stamani è stato imposto il coprifuoco e le autorità hanno accusato non meglio precisati «infiltrati» e «vandali" come autori dell’assalto. Dal primo ottobre a Baghdad e nelle regioni del sud sciita sono in corso proteste contro il sistema politico e contro la crescente influenza iraniana negli affari economici e politici del paese. Più di 350 persone, per lo più manifestanti e attivisti, sono stati uccisi in due mesi di repressione.

Scontri e violenze si sono registrate anche a Baghdad, dove giungono notizie di almeno quattro manifestanti uccisi. Questi tentano da giorni di attraversare uno dei tre principali ponti sul Tigri che collegano la parte occidentale della capitale con la Zona verde, quartiere fortificato dove sorgono le principali sedi istituzionali. Attivisti e testimoni oculari pubblicano video provenienti da Nassiriya in cui si mostrano soldati aprire il fuoco direttamente contro i giovani disarmati. Ogni funerale dei cosiddetti 'martiri della rivoluzionè diventa un corteo politico di protesta, esposto a nuove repressioni. In altri filmati vengono presi di mira da spari di arma da fuoco i pick-up usati per trasportare i feriti lontano dalle zone degli scontri. Stamani un gruppo di influenti leader tribali delle regioni meridionali si è schierato a fianco dei manifestanti, minacciando di prendere le armi se il governo centrale non accetterà di dimettersi mettendo fine alla repressione.

In questo contesto, il leader sciita Moqtada Sadr, a capo di un partito che guida il maggior gruppo politico parlamentare e che formalmente sostiene il governo, ha invitato il premier Adel Abdel Mahdi alle dimissioni. «Se non si dimette il governo, sarà l'inizio della fine per l’Iraq», ha avvertito Sadr citato dalle tv irachene. Dal canto suo, il premier Abdel Mahdi, sostenuto sia dall’Iran che dagli Stati Uniti, ha scelto la linea dura, inviando rinforzi militari a Nassiriya e in tutte le città del sud in rivolta. Parallelamente, il governo di Baghdad ha affidato a un neonato comitato di sicurezza militare la gestione della crisi in corso. Di questo fanno parte tutti i governatori delle zone del sud. Il comitato era stato affidato stamani al generale Jamil Shammari, da più parti definito come 'il macellaio di Bassorà per aver commesso nelle scorse settimane stragi di manifestanti nel porto meridionale iracheno, anch’esso sollevatosi dai primi di ottobre. Ma il governatore della regione di Nassiriya ha chiesto oggi pomeriggio al premier di rimuovere il generale Shammari e di nominare invece un militare di pari grado non coinvolto nella repressione in corso.

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