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Alta tensione al summit Nato, Trump schernito dagli alleati

Era iniziato con i toni della polemica, è finito quasi con quelli della farsa. Il vertice dei 70 anni della Nato si chiude a Watford, alle porte di Londra, adottando la dichiarazione unanime di rito, con qualche richiamo nuovo (sulla Cina o la cooperazione militare nello spazio) e molti impegni risaputi e ribaditi.

Ma i dissidi, politici e personali, restano in larga parte irrisolti - suggellati dall’evidente irritazione di Donald Trump, che se ne va cancellando d’improvviso la sua conferenza stampa finale - fra tensioni, diverbi e persino momenti di scherno: come nel caso dei risolini innescati in un capannello di leader dalle ironie riservate al presidente Usa dal premier canadese Justin Trudeau.

Un episodio minore, assurto tuttavia a simbolo di questa celebrazione poco riuscita malgrado l’ottimismo profuso a piene mani dal segretario generale Jens Stoltenberg e dal padrone di casa, Boris Johnson. Se non proprio a sintomo della crisi del 70esimo anno di un’alleanza che pure il medesimo Trump giura essere «forte e ricca come non mai».

A creare l’incidente è stato stavolta un filmato carpito dalla tv canadese a Buckingham Palace durante il ricevimento offerto ieri dalla regina e dal principe Carlo agli ospiti alleati: con tanto di immagini sottotitolate di Trudeau, Johnson, Emmanuel Macron, Mark Rutte e la principessa Anna a confabulare bicchieri in mano.

«Per questo eri in ritardo?», si sente Johnson chiedere a Macron, reduce da un bilaterale con Trump dilatato oltre misura dal tycoon di fronte ai media. E quindi Trudeau rispondere sarcastico al posto del presidente della Francia: «Era in ritardo perché ha fatto una conferenza stampa di 40 minuti fuori programma». Evidente allusione a The Donald, corredata da ilarità finali sul presunto sconforto «a bocca aperta» dello stesso staff della Casa Bianca.

Trump, che con Trudeau s'era già beccato in passato, non l’ha presa bene. Ha aspettato lo stop dei lavori ufficiali del summit per replicare. Poi ha piazzato la stoccata al termine dell’ultimo d’una serie di faccia a faccia di contorno (fra i più amichevoli, quello col presidente del Consiglio Giuseppe Conte), con al fianco la cancelliera Angela Merkel.

Trudeau, ha esordito condiscendente, «è un simpatico ragazzo. Ma io l’ho stanato sul fatto che lui non versa il 2%» sul Pil di contributi per la difesa alla Nato. «Non paga il 2%, ma lo deve pagare perché il Canada i soldi li ha - ha proseguito velenoso - e immagino che non sia troppo contento» di sentirselo dire. Per dargli poi dell’ipocrita. Il siparietto è finito così.

E oscura anche se non cancella i risultati rivendicati da Stoltenberg: la formalizzazione degli impegni ad aumentare proprio gli stanziamenti all’alleanza, cresciuti di 160 miliardi di dollari dal 2016 e destinati a un ulteriore balzo fino a 400 miliardi in più per il 2024; o ancora la linea comune trovata sulla Russia, a cavallo tra «deterrenza e dialogo»; sull'inedito richiamo alla Cina in materia di disarmo; sul rafforzamento delle missioni a protezione dei confini di Polonia e Paesi baltici; sull'individuazione delle «minacce emergenti», dalla sfida dello spazio visto ormai anche come uno scenario militare, al terrorismo, alla cyber guerra, alla questione delle nuove tecnologie e delle infiltrazioni che possono derivarne.

Temi da affrontare in uno spirito unitario, ha incitato Johnson - deciso a fare del meeting di Watford anche un palcoscenico elettorale in vista del voto britannico del 12 dicembre - ricordando il successo storico della Nato e invocando il motto da moschettieri «uno per tutti, tutti per uno». E però temi che non esauriscono un’agenda nella quale, accanto a «ciò che unisce», resta altrettanto visibile ciò che divide.

La lista comprende il rapporto con la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, logorato nel giudizio di molti partner europei, Parigi in testa, dalla cruenta operazione anti-curda del sultano in Siria. Ma anche questioni come la possibile partecipazione del colosso cinese Huawei nello sviluppo della sensibile tecnologia di comunicazione 5G cui Washington si oppone, ma che Paesi come Italia o Regno Unito non escludono del tutto.

O dossier collaterali sul commercio, la web tax sui big americani dell’hi-tech, le minacce di ritorsioni a colpi di dazi. Problemi sui quali se non altro il dibattito è ora aperto, chiosa Macron, attribuendosi il merito d’aver dato lo scossone paventando alla vigilia una Nato «in stato di morte cerebrale».

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