«Un altro Vietnam». Mentre una marea di milioni di persone invade le strade di Teheran per commemorare il «martire» Qassem Soleimani, l’Iran annuncia al mondo il suo proclama di vendetta contro gli Stati Uniti se non lasceranno il Medio Oriente. «Anche se uccidessimo Trump», scandisce il brigadiere generale Amir Ali Hajizadeh, comandante delle unità aerospaziali dei Pasdaran, «non basterebbe a vendicare Qassem». Le famiglie dei soldati americani, minaccia quindi la figlia del generale ucciso nel raid Usa a Baghdad, Zeinab, «dovrebbero aspettarsi la morte dei loro figli».
Avvertimenti cui torna a rispondere direttamente Donald Trump. «L'Iran non avrà mai l’arma nucleare», ha twittato il tycoon, dopo che ieri la Repubblica islamica ha annunciato l'ultima fase del suo disimpegno dall’accordo del 2015, mettendo da parte i limiti sulla produzione e l’arricchimento dell’uranio. Ma nella consueta girandola di dichiarazioni, la
Casa Bianca giura che il presidente resta «aperto» a rinegoziare l'intesa, «se l’Iran vuole iniziare a comportarsi come un Paese normale».
La linea rossa sull'atomica trova il sostegno della Nato, ha assicurato il segretario generale Jens Stoltenberg al termine di una riunione straordinaria degli ambasciatori dei 29 paesi dell’Alleanza, che ha sospeso «temporaneamente la missione di addestramento in Iraq». Ma l’uccisione di Soleimani, ha sottolineato, è stata una «decisione Usa».
A Teheran è stato il giorno della rabbia e del cordoglio. Gli occhi bagnati di lacrime, la Guida suprema Ali Khamenei ha guidato la preghiera islamica di commemorazione per Soleimani, apice di una mastodontica cerimonia culminata all’università della capitale iraniana, tra bandiere americane e israeliane bruciate e invocazioni di «Morte all’America» e «Morte a
Israele». Accanto a lui, il presidente Hassan Rohani e le massime cariche civili e militari della Repubblica islamica, insieme a ospiti internazionali come il leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, nella più grande processore funebre dalla morte dell’ayatollah Khomeini.
Da tutto il mondo continuano intanto gli appelli a ridurre la tensione. «Il mio messaggio è semplice e chiaro: fermare l'escalation, esercitare la massima moderazione, far ripartire il dialogo», dice il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Una distensione «è nell’interesse dell’Iran e dell’Iraq», sottolinea la presidente della Commissione Ue Ursula
von der Leyen.
Russia e Cina invocano il dialogo, e persino l'Arabia Saudita, principale avversario dell’Iran nel mondo islamico, fa appello alla calma, dopo che il premier iracheno Adel Abdel Mahdi aveva rivelato che Soleimani si trovava a
Baghdad proprio per portare un messaggio di Teheran a Riad
quando è stato ucciso.
Anche l’Italia continua a seguire da vicino gli sviluppi della crisi. In una telefonata tra il premier Giuseppe Conte e la cancelliera tedesca Angela Merkel «è stata condivisa l’importanza di mantenere il necessario impegno a favore della stabilizzazione della regione e del contrasto al terrorismo, nel rispetto della sovranità irachena».
E il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha lanciato l'allarme su possibili rischi anche per il nostro Paese: «Chi ancora crede che la strada sia la violenza, è fermo al passato o non ha ancora compreso le lezioni dalla storia. E, quel che è peggio, sta esponendo tutti gli italiani a un pericolo di ritorsioni».
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