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Charlie Hebdo, cinque anni fa l'attentato choc che sconvolse la Francia

Eravamo tutti Charlie, cinque anni fa, dopo che due uomini armati di Kalashnikov fecero irruzione - intorno alle 11.30 del 7 gennaio 2015 - nella sede del settimanale satirico Charlie Hebdo a Parigi uccidendo 12 persone nel pieno della riunione di redazione.

Dopo aver compiuto il massacro, i fratelli Cherif e Said Kouachi - fino a quel momento noti solo come piccoli criminali di periferia - gridarono in mezzo alla strada: «Allah e grande. Abbiamo ucciso Charlie Hebdo. Abbiamo vendicato il Profeta».

La colpa di quello che è, tuttora, il più celebre giornale satirico di Francia era quello di aver pubblicato alcune caricature di Maometto già apparse in Danimarca.
L’impatto della strage di Charlie Hebdo è stato immenso ed ha segnato in profondità la società francese. Per la patria di Voltaire, l’attacco a Charlie Hebdo è stato l’11 settembre francese.

Ma non è 'solo' perché un terrore cieco aveva colpito al cuore la città del Louvre che il fine settimana successivo almeno 4 milioni di persone sono scese in strada scandendo le parole «Je suis Charlie»: era diventato lo slogan dell’Occidente contro il terrore, ma anche lo slogan per la libertà d’espressione e della stampa, per i valori di una società avanzata e segnata dai principi democratici.

C'erano 44 capi di Stato e di governo di tutto il mondo tra i partecipanti al corteo - tra questi anche l’israeliano Benjamin Netanyahu ed il palestinese Abu Mazen - e le manifestazioni di solidarietà continuarono per giorni e giorni in un numero infinito di città di tutti i continenti.

E sembra, oggi, un tragico segno del destino che proprio un altro attacco sia stato compiuto a Villejuif proprio al grido di «Allah è grande», cinque anni dopo l’assalto nella redazione al giornale. Diversamente però dall’11 settembre, le cui vittime furono per così dire «casuali», i morti di Charlie Hebdo erano delle celebrità, dei nomi iconici della Francia: dal direttore Stephane Charbonnier, detto Charb, a collaboratori storici come il celeberrimo George Wolinski, e poi Cabu, Tignous ed Honorè.

In più, due poliziotti, mentre altre 4 persone rimasero ferite. Pochi istanti prima dell’assalto il giornale aveva pubblicato sul proprio account Twitter una vignetta sul «califfo» Abu Bakr al-Baghdadi, il capo dell’Isis. Per strada, i due terroristi uccisero in strada un altro poliziotto. I fratelli Kouachi finirono la fuga il 9 gennaio dopo essersi barricanti in una piccola tipografia in periferia, nel villaggio di Dammartin-en-Goele, dove furono uccisi in un conflitto a fuoco con le teste di cuoio della Gendarmerie.

Ma Charlie Hebdo non fu solo Charlie Hebdo. L’8 gennaio, nella città di Montrouge, a sud di Parigi, un altro terrorista, Amedy Coulibaly - trentaduenne di origini maliane - aveva aperto il fuoco contro la polizia armato di un Ak-47, due pistole Tokaev e due mitragliette Skorpion, uccidendo una agente e ferendone un altro.

Il giorno dopo, in un’azione simultanea a quella in cui furono uccisi i Kouachi, Coulibaly cadrà sotto i colpi delle forze speciali nel supermercato Kosher di Porte de Vincennes, nella zona est di Parigi, dove l’uomo aveva preso in ostaggio 17 persone uccidendo tre persone di religione ebraica e ferendone quattro.

Il filo rosso che portava da Charlie Hebdo al supermercato Kosher fu immediatamente chiaro: le indagini portarono rapidamente alla luce che Coulibaly era legato ai fratelli Kouachi. Era per la loro liberazione che il terrorista aveva offerto i suoi ostaggi. Quello contro Charlie Hebdo fu, fino a quel momento, l’attentato terroristico più grave dal 1961.

Ma fu superato in orrore e per numero di vittime nell’attacco compiuto il 13 novembre di quello stesso anno al Teatro Bataclan, allo Stade de France e in tre ristoranti della Ville Lumiere da un commando di almeno 10 persone collegato allo Stato islamico: i morti furono 130, centinaia i feriti. L’allora presidente francese Francois Hollande dichiarò lo stato d’emergenza e la chiusura temporanea delle frontiere. L’Europa non sarà mai più la stessa.

Le nozioni di sicurezza, il rapporto tra le religioni, il principio di convivenza non sono mai state così scosse, nel Vecchio Continente. L’emozione, in Francia e nel mondo, fu immenso dopo Charlie Hebdo. Il primo numero pubblicato dal giornale dopo l’attentato vendette oltre 7 milioni di copie. Ma oggi il clima è un altro.

Proprio in questi giorni, nell’occasione dell’anniversario, Laurent Sourrisseau, detto Riss, caporedattore di Charlie Hebdo, ha pubblicato un libro-pamphlet, significativamente intitolato «Un minuto, 49 secondi», ossia l’esatta durata dell’assalto. Lui stesso rimase gravemente ferito nell’attentato.

E il suo bilancio, cinque anni dopo, è tutt'altro che pacificato. È tragico: «Se oggi pubblicassimo di nuovo quelle caricature saremmo di nuovo soli. L’attacco non ha reso le persone più coraggiose. Al contrario». A Parigi si sente spesso ripetere la domanda: cinque anni dopo, siamo ancora tutti Charlie Hebdo? 

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