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Coronavirus, il piano per far tornare gli italiani da Wuhan è pronto: "La fine di un incubo"

Il piano per far rientrare in Patria gli italiani rimasti bloccati a Wuhan è pronto: un aereo civile, ma operato dalla Difesa e con a bordo personale medico, decollerà nelle prossime ore per raggiungere la città cinese, focolaio del coronavirus, dove ci sono una settantina di connazionali. E anche se alcuni di loro - si parla di 3-4 casi - potrebbero decidere di restare in Cina, il rimpatrio è previsto al massimo entro venerdì. Al loro arrivo in Italia scatterà un protocollo sanitario, messo a punto dal Ministero della Salute, che prevede un periodo di quarantena. Almeno per una quindicina di giorni, il periodo cioè di incubazione del coronavirus che sta terrorizzando il mondo.

Un isolamento per la sorveglianza sanitaria che potrebbe avvenire anche in una struttura militare che consentirebbe una migliore gestione logistica dell’emergenza. Il volo è stato organizzato dall’Unità di Crisi della Farnesina, in stretto coordinamento con i Ministeri della Difesa, della Sanità e l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive 'Lazzaro Spallanzani': una decisione accolta con soddisfazione e "felicità" che in alcuni momenti ha sfiorato l'euforia tra gli italiani che si trovano a Wuhan.

"È la fine di un incubo, ora si volta pagina", è il commento che si rincorre al telefono di chi li ha contattati. "Speriamo non ci siano intoppi con le autorizzazioni cinesi", sottolinea qualcuno. Ma non tutti partiranno. "C'è chi non ha alcuna intenzione di lasciare la Cina, per motivi personali e o familiari», spiegano alcuni connazionali che si trovano in Cina, sostenendo di essere a conoscenza di almeno 3-4 persone che starebbero decidendo di rimanere a Wuhan. Come confermato anche dal viceministro della Salute Pierpaolo Sileri che ha citato l'esempio di una persona «sposata con una cinese» che non intende lasciare nel Paese. Il numero di connazionali rimasto bloccato nella città isolata per il coronavirus è ancora ballerino: si dovrebbe trattare di una settantina di persone, dopo una prima stima che ne indicava 50-60 sulla base di chi si era iscritto al sito 'ViaggiareSicuri' della Farnesina e quelli iscritti all’Aire, l’elenco dei residenti all’estero.

"La stragrande maggioranza ha dato all’ambasciata d’Italia a Pechino la disponibilità a partire, possibilmente quanto prima possibile", dice comunque uno degli italiani di Wuhan, raggiunto telefonicamente. A causa "della delicatezza e della tensione emotiva del momento", gli interlocutori preferiscono restare anonimi, "anche per un semplice rispetto verso coloro che, tra Farnesina e ambasciata, stanno lavorando da giorni sulla vicenda". Al telefono, tuttavia, si riconoscono in alcuni casi i rumori che tradiscono i preparativi in corso.

"Anche se non sappiamo i dettagli su cosa fare, stiamo mettendo da parte qualcosa da portare con noi", ammette uno dei più giovani italiani, da pochi mesi nella metropoli da 11 milioni di abitanti, ormai deserta. "Sinceramente, tutto pensavo quando sono venuto tranne di dovermi ritrovare in un incubo", confessa, ancora stupito dalla trasformazione della caotica Wuhan alla quale ha assistito in un breve lasso di tempo. "Andare in giro è come attraversare un paesaggio spettrale, quasi da film dell’orrore di Hollywood".

"Sono in attesa e ho fiducia nelle autorità italiane. Credo che molti altri connazionali provino lo stesso", dice uno studente, a Wuhan da 5 mesi e obbligato a partire tra l’altro per la scadenza del visto. Per molti, la soluzione del ponte aereo "è certamente più chiara" dell’ipotesi emersa in precedenza sul trasporto in autobus a Changsha, capitale del vicino Hunan, con la seguente quarantena in un ospedale locale, magari militare, sempre sotto il controllo delle autorità cinesi. "Poteva essere l’inizio di un altro incubo", ammettono diversi noncuranti del fatto che anche in Italia li attenda un periodo di isolamento. "Stiamo valutando dove far proseguire la quarantena che certamente ci sarà", ha chiarito Sileri.

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