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Studente dell'Università di Bologna arrestato in Egitto: "Torturato con elettroshock"

Il ricercatore egiziano Patrick George Zaky

L’ultimo esame tre giorni fa, in Italia, all’Università di Bologna per un master sugli studi di genere. Poi la partenza per casa, in Egitto, per una breve in vacanza. Ma Patrick George Zaky, studente egiziano di 27 anni, dalla sua famiglia a Mansoura non ci ha mai messo piede: all’arrivo al Cairo tra giovedì e venerdì notte è stato arrestato dalle autorità locali con capi d’accusa che vanno dall’istigazione alle proteste alla diffusione di notizie false.

Da allora è detenuto e, secondo quanto riferito dai suoi legali, è stato non solo interrogato ma anche torturato con elettroshock. Un caso che richiama quello, tragico, dell’italiano Giulio Regeni e sul quale si è attivata la Farnesina.

Ad accendere i riflettori sulla vicenda è Amnesty International Italia, che filtra le frammentarie informazioni che arrivano dall’Egitto, tramite reti di attivisti. Patrick George Zaky, spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, «è un attivista a tutto tondo» con interessi specifici nella giustizia per le persone Lgbt e nell’identità di genere.

Un profilo che il giovane aveva deciso di approfondire con un master internazionale in Italia, all’Università di Bologna: 'Gemma', un corso unico del suo genere in Europa, supportato dalla Commissione Ue. Secondo quanto ricostruito dalla Egyptian Initiative for Personal Rights (Eipr), l’associazione egiziana cui Patrick fa capo, il giovane è stato fermato all’arrivo in aeroporto della capitale egiziana.

Patrick era via dal suo Paese dall’agosto 2019, quando appunto si era trasferito a Bologna per il Master. Tornava a casa, dalla famiglia, per una vacanza, ma è stato preso in custodia dalle autorità egiziane e poi per 24 ore è di fatto scomparso fino a questa mattina, quando a Mansoura, sua città natale a 120 chilometri dal Cairo, è comparso davanti ai pm egiziani che lo hanno accusato, tra le altre cose, di diffusione di notizie false, incitazione a proteste, tentativo di rovesciare il regime, uso dei social media per danneggiare la sicurezza nazionale, propaganda per i gruppi terroristici e uso della violenza.

Non solo. Nelle 24 ore intercorse tra l’arresto e la detenzione a Mansoura, Zaky «è stato picchiato, sottoposto a elettroshock, minacciato e interrogato sul suo lavoro e sul suo attivismo», riferisce Eipr. Sarebbe stato inoltre presentato un rapporto della Polizia che sostiene «falsamente» di averlo arrestato a un checkpoint di Mansoura in base a un mandato emesso a settembre 2019.

Ora la procura egiziana ha ordinato 15 giorni di custodia cautelare. Uno dei peggiori scenari possibili. «Se parte questo stillicidio dei 15 giorni di detenzione rinnovabili rischia di essere dimenticato», afferma Riccardo Noury di Amnesty Italia. Tuttavia «non sottovalutiamo di aver fatto questo 'rumore'» per Patrick: «È una deterrenza per chi pensa che nessuno nel mondo sappia cosa succede e che quindi crede di poterlo trattare come gli pare, come accaduto con Giulio».

Il pensiero non può non andare a Giulio Regeni, di cui da pochi giorni si è commemorato il quarto anniversario del ritrovamento del suo cadavere. Proprio la legale della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini, firma insieme all’associazione dei dottorandi e dottori di ricerca in Italia, agli studenti del Master Gemma di Bologna e a Link Coordinamento Universitario un appello per chiedere verità su Giulio e Patrick e per chiedere al Governo «di inserire l'Egitto nella lista dei Paesi non sicuri e di richiamare l'ambasciatore italiano in Egitto per consultazioni».

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio fa sapere di seguire «con attenzione» la vicenda, attraverso l’ambasciata al Cairo. Su Change.org c'è una petizione con migliaia di firme per fare pressione sul governo egiziano affinché liberi Patrick George Zaky. Con la speranza che una tale mobilitazione possa dare al ricercatore egiziano una sorte diversa da quella di Giulio Regeni.

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