Un interrogatorio interminabile, di almeno 17 ore, che ha subito bendato, ammanettato tutto il tempo, con minacce, colpi a stomaco, schiena e scosse elettriche. Torture che l’hanno «psicologicamente distrutto». A quattro giorni dall’arresto al Cairo di Patrick George Zaky, lo studente egiziano che a Bologna segue un Master europeo sugli studi di genere, emergono i dettagli della detenzione dell’attivista. A Roma compare un murales con l’abbraccio metaforico di Giulio Regeni, mentre dall’Egitto arriva il grido d’aiuto della famiglia: «Patrick non è mai stato fonte di pericolo». In tutta Europa la comunità accademica si mobilita. Arrestato venerdì all’arrivo al Cairo, dove era atterrato dall’Italia per una breve vacanza a casa, in famiglia, di Zaky si sono perse le tracce per quasi 24 ore. Un buco nero in cui il giovane, secondo quanto riferito dai legali che hanno avuto modo di vederlo sabato in occasione dell’udienza che l’ha relegato a 15 giorni di detenzione, avrebbe subito un interrogatorio durissimo, con torture. È per questo che Patrick ha chiesto «di essere visitato da un medico legale per mettere agli atti le tracce della tortura subita». Una richiesta riferita da Hoda Nasrallah, avvocatessa nel team di legali che segue il suo caso. E che all’ANSA conferma: «È stato sottoposto a scosse elettriche e colpito, ma in maniera da non far vedere tracce sul suo corpo». Da sabato Patrick si trova in una camera di sicurezza del commissariato di polizia Mansoura-2, località a 120 chilometri a nord rispetto al Cairo e sua città natale. «È psicologicamente distrutto, è arrabbiato», spiega Hoda Nasrallah, che lavora per l’ong egiziana Eipr. Amnesty International, che ha rilanciato una petizione online firmata da migliaia di persone, sottolinea che «l'arresto arbitrario e la tortura di Patrick Zaky rappresentano un altro esempio della sistematica repressione dello Stato egiziano nei confronti di coloro che sono considerati oppositori e difensori dei diritti umani, una repressione che raggiunge livelli sempre più spudorati». Da Berlino, Amr Abdelwahab, ingegnere e amico di lunga data di Patrick, ha creato account social e una rete online per divulgare informazioni. È qui che viene pubblicata una dichiarazione ufficiale dei familiari di Zaky, che non si espongono oltre perché hanno paura. «Non riusciamo ancora a comprendere le accuse mosse a Patrick - scrivono - nostro figlio non è mai stato fonte di minaccia o di pericolo per nessuno». E ancora: «Non avremmo mai immaginato che potesse essere trattato in questo modo, né che avremmo vissuto anche solo per un giorno con una paura e un’ansia senza precedenti per la sicurezza e il benessere di nostro figlio. Non sappiamo nemmeno quando o come finirà questo incubo», «chiediamo di stargli vicino e di sostenerlo». Al Cairo intanto l’ambasciatore italiano, Giampaolo Cantini, ha incontrato il presidente del Consiglio nazionale per i diritti umani egiziano, Mohamed Fayek. Questi ha riferito di aver «chiesto alle autorità egiziane della situazione» di Patrick ma ha anche ricordato che l’attivista è «stato fermato in base a un’ordinanza della Procura Generale ed è attualmente sotto inchiesta» con «accuse di sostegno ad organizzazioni terroristiche». Provati sono i compagni di master di Patrick, che hanno ripreso a seguire le lezioni a Bologna e che stanno cercando in tutti i modi di far sentire la loro voce. A Granada, sede dell’Università che coordina il master 'Gemma', un presidio di studenti e accademici ha chiesto «verità e giustizia. Per Patrick, per Giulio (Regeni, ndr) e per tutti coloro che lottano per società più giuste ed egualitarie». Proprio da Giulio arriva un abbraccio simbolico a Zaky, quello di un murales realizzato a Roma a pochi passi dell’Ambasciata d’Egitto. Un’immagine su cui campeggia la parola 'libertà', in arabo', e l’auspicio «Stavolta andrà tutto bene». La mobilitazione continua. Domani un flash mob in piazza del Nettuno a Bologna e poi iniziative a Milano e Roma. Un’iniziativa al giorno, promettono gli attivisti, per non spegnere i riflettori, e la speranza.