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Elezioni in Iran, batosta per Rohani: i conservatori si prendono il Parlamento

Il presidente iraniano Hassan Rohani

Una maggioranza schiacciante di conservatori e ultraconservatori capace di rendere la vita difficile al presidente moderato Hassan Rohani nell’anno che ancora gli rimane per portare a termine il suo secondo e ultimo mandato quadriennale. Questa la mappa del Parlamento iraniano delineata dai risultati ancora parziali resi noti sabato dalla commissione elettorale.

La conferma ufficiale arriverà solo domani, ma secondo questi primi dati il fronte fondamentalista dovrebbe assicurarsi almeno 221 dei 290 seggi del Parlamento, fin qui retto da una coalizione di conservatori moderati, indipendenti e riformisti. Ai riformisti in questa tornata andrebbero non più di 16 seggi e agli indipendenti 34. A questi 271 seggi vanno aggiunti i 5 delle minoranze religiose, che fanno arrivare il totale a 276.

Per i 14 rimanenti si dovrà andare ai ballottaggi, il 17 aprile. Tutto come nelle previsioni della vigilia, dunque. A partire da Teheran, cuore dello scontro fra fondamentalisti e quel che resta del movimento riformista, dove dovevano essere assegnati 30 seggi. I dati finora disponibili parlano di un bottino pieno incassato dalla coalizione dell’Unità (Vahdat) tra fondamentalisti vecchi e nuovi. In particolare, in testa figura l'ex generale dei Pasdaran, ex capo della polizia ed ex sindaco di Teheran Mohammad Baqer Qalibaf, che molti nel suo fronte indicano come possibile prossimo presidente della Repubblica.

A ruota seguono altre due figure di spicco dei conservatori:  Mostafa Mir-Salim, già ministro della Cultura negli anni '90, e Morteza Agha-Teherani. A favorire il trionfo che si delinea per i conservatori è stata l’alta astensione, provocata non dalla paura del coronavirus, che negli ultimi giorni si è diffusa nel Paese, ma dalla delusione di una larga fetta dell’elettorato per le promesse non mantenute da Rohani. Promesse relative in particolare alla liberalizzazione interna e alla distensione con gli Usa e l’Occidente in generale.

Un progetto tuttavia fallito anche per la decisione di Washington di ritirarsi dall’accordo sul nucleare del 2015 e di reintrodurre pesanti sanzioni contro Teheran, che hanno depresso l’economia. Ma ad alimentare la sfiducia sono state anche la violenta repressione delle proteste per il caro benzina del novembre scorso, con le autorità che non hanno ancora fornito un bilancio delle vittime, e l’abbattimento lo scorso mese del Boeing ucraino con 145 iraniani a bordo da parte della contraerea iraniana, ammesso solo dopo tre giorni.  Anche il dato ufficiale sull'affluenza sarà reso noto solo domani, ma l’agenzia Fars stima una partecipazione che non sarebbe andata oltre il 40%, e addirittura solo del 30% a Teheran.

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