Gli Stati Uniti e i talebani hanno firmato a Doha, in Qatar, un accordo storico dopo 18 anni di guerra, che stabilisce un calendario per un ritiro completo delle truppe straniere dall’Afghanistan entro 14 mesi. Washington si è impegnata a ridurre nei prossimi 135 giorni a 8.600 soldati la sua presenza militare, attualmente di circa 14.000 unità. I talebani si impegnano a mettere fine agli attacchi e ad avviare colloqui di pace con il governo di Kabul entro il 10 marzo. L’inizio dei colloqui dovrebbe essere preceduto da uno scambio di prigionieri, circa 5.000 talebani detenuti nelle carceri governative e un migliaio di afghani catturati dagli insorti. Se tutto andrà per il verso giusto, entro 14 mesi le truppe Usa e dei loro alleati lasceranno il Paese. Il mullah Abdul Ghani Baradar, uno dei fondatori del gruppo, ha firmato l’accordo con il negoziatore Usa, Zalmay Khalilzad, nella sala conferenze in un hotel di lusso nella capitale del Qatar. Durante la stretta di mano, talebani presenti hanno urlato «Allahu Akbar». Gli Stati Uniti «non esiteranno a annullare» l’accordo se i talebani non rispetteranno le garanzie sulla sicurezza e l’impegno a tenere colloqui con il governo afghano, ha avvertito il segretario alla Difesa Usa, Mark Esper, in visita a Kabul. L’accordo è considerato da tutti solo un primo passo e restano ancora tante incertezze sul futuro dell’Afghanistan. Il governo afghano è debole ed è stato escluso dai colloqui tra Usa e talebani (che di fatto controllano una buona parte del Paese, soprattutto a est e a sud). Il premier Abdullah Abdullah non ha riconosciuto la vittoria alle presidenziali del presidente uscente Ashraf Ghani e si è autoproclamato vincitore. Si teme inoltre per i diritti faticosamente conquistati in questi anni, soprattutto dalle donne: il popolo afghano è affamato di pace, ma molti non credono alle buone intenzioni dei talebani e considerano l’accordo una vittoria per gli insorti, che sono stati al potere dal 1996 al 2001 imponendo una rigidissima interpretazione della rigida legge della sharia, confinando le donne in casa, chiudendo le scuole femminili, vietando la musica e altri divertimenti e terrorizzando la popolazione con esecuzioni sommarie. Dall’invasione guidata dagli Usa dopo l’11 settembre 2001, l’America ha speso più di un trilione di dollari, ha visto morire circa 2.400 suoi soldati, sono morti migliaia di militari afghani, miliziani talebani e civili afgani. «Stiamo cogliendo la migliore opportunità di pace in una generazione», ha detto a Doha il segretario Usa, Mike Pompeo, che ha chiesto ai talebani di mantenere la promessa di «tagliare i legami con Al Qaeda». Il presidente Donald Trump, che ha più volte promesso di fermare le «guerre infinite» e di riportare a casa le truppe Usa, ha esortato il popolo afgano a cogliere una «opportunità storica per una pace duratura». Da Kabul, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha avvertito che «la via della pace è lunga e difficile. Dobbiamo prepararci a battute d’arresto», ha detto. Ma, ha sottolineato, questo è un primo passo importante». «La pace - ha aggiunto - sarà sostenibile solo se saranno protetti i diritti umani di tutti gli afghani, donne, uomini e bambini. Per sostenere il processo di pace, la Nato ridurrà la sua presenza, passo dopo passo e in base alle condizioni, al passo dei progressi sul campo. Gli alleati e i partner della Nato sono entrati in Afghanistan insieme, insieme adatteremo la nostra presenza. E quando sarà il momento, andremo via insieme».