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Una messinese in Germania: "Qui strade piene nonostante il Coronavirus"

Amburgo, una settimana fa: le famiglie passeggiano in un parco, approfittando di una bella e tiepida giornata; gli anziani prendono il sole sulle panchine; i giovani si dedicano allo sport. Percezione del rischio coronavirus? Zero.

Volti distesi e sorridenti, nessuna mascherina. Sabato scorso, in pieno centro, scene analoghe: tanta gente fa la spesa nei supermercati e si dedica allo shopping. Timori per la propria salute? Ridotti ai minimi termini. In gran parte della Germania settentrionale la popolazione reagisce così a un’emergenza che altrove miete migliaia di vittime.

A raccontare come si vive nell’estremo Nord del Paese tedesco è Laura D’Andrea, 37 anni, messinese. Vive in Germania da cinque anni, inizialmente non per scelta ma perché la sua ex azienda italiana le aveva offerto di gestire in loco il mercato tedesco. Si è quindi trasferita a Dusseldorf, dove nel corso dei primi tre anni di esperienza si è resa conto di differenti dinamiche occupazionali e qualità della vita. Ha quindi abbandonato il precedente impiego e deciso di dedicarsi anima e corpo all’e-commerce per conto di una grossa azienda di moda tedesca. Per questo si è spostata ad Amburgo, dove risiede da due anni.

Esplosa l’emergenza Covid-19, da venerdì scorso Laura svolge da casa i suoi compiti: decidere l’assortimento da vendere online, curare i rapporti coi brand e stabilire le strategie di espansione. «Due settimane fa, la mia azienda ha inviato delle mail in cui lasciava la libera scelta tra presenza in ufficio e home working. Una settimana fa, invece, è arrivato l’obbligo di lavorare da casa, per ridurre qualsiasi rischio di contagio.

Le singole imprese, comunque, si sono mosse prima dello Stato, i cui provvedimenti, a mio giudizio, si stanno rivelando tardivi. In questo momento, restano in ufficio solo sviluppatori e addetti al magazzino. La percezione del rischio è iniziata molto in ritardo rispetto all’Italia. E ancora oggi, quando i casi hanno superato quota ventimila, i parchi sono pieni di persone. Non c’è alcun divieto di uscire e nessuno è dotato di mascherine. Non c’è nessun allarmismo, in quanto la Germania conta fino a questo momento pochissimi morti e non ritiene che tra i propri confini vi sia un’emergenza sanitaria. Pochissimi i ricoverati in Terapia intensiva. Insomma, nulla di minimamente paragonabile a ciò che sta succedendo in Italia».

Le misure adottate?: «Solo da lunedì scorso – spiega la trentasettenne messinese – la Germania si è mossa a livello di Stato federale. Prima i provvedimenti andavano in ordine sparso, adottati dai singoli Land. Oggi vige la chiusura di negozi, bar e caffè, ma le strade e le piazze sono popolatissime. Soltanto la Baviera e il Württemberg-Baden seguono più da vicino il modello italiano, con proibizione delle passeggiate e limitazione degli spostamenti. Ad Amburgo non c’è niente di tutto ciò, ma sarà solo un percorso graduale che prevederà inevitabilmente restrizioni ai cittadini, visto che la progressione dei contagi in Germania sale di 2.500-3.000 al giorno. Qui il virus è indietro di una settimana e vedo tantissima superficialità: solo sabato scorso ho notato per la prima volta la security all’esterno dei supermercati per fare rispettare la distanza minima di un metro».

Anche in Germania vengono riconosciuto i meriti a chi lotta in prima linea: «Ogni sera alle 21 i tedeschi si affacciano alle finestre e dai balconi per applaudire il personale sanitario, ma senza troppo folklore».

Laura sente i genitori a Messina quotidianamente e gli amici più intimi con cadenza settimanale. «Questa emergenza ha contribuito ad avvicinarmi alle persone più care. Percepisco la loro preoccupazione e il loro senso di smarrimento per una situazione che appare fuori controllo. Oltre ai problemi sanitari, gli amici mi raccontano del dramma occupazionale che affrontano, in quanto molti hanno contratti a termine o esercitano la libera professione. Temono già l’impatto sul sistema economico, mentre in Germania si è già consapevoli e certi che in ogni caso lo Stato inietterà risorse».

La manager 37enne ammette infine che vivere la tragedia italiana da fuori la fa sentire più legata alla terra d’origine: «Resta il Paese più bello del mondo e mi trasmette una gran voglia di rientrare».

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