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Antonio Sindoni, lo studente messinese che vive a Madrid: "Qui rischi sottovalutati"

La curva epidemica è una seria minaccia anche in Spagna. Schizza verso l'alto, a una velocità maggiore rispetto all'Italia. L'impennata dei contagi nelle ultime 24 ore, quasi quota diecimila, è da brividi. Il “quedate en casa”, l'invito a rimanere tra le mura domestiche, risuona nelle vie sempre più deserte delle città. Sembra l'unico scudo per difendersi da una guerra che appare fuori controllo, in cui il coronavirus mette a dura prova la resistenza della popolazione e a nudo (anche qui) le debolezze di ospedali e centri di cura. Eppure, il Paese iberico ha avuto più tempo per attuare contromisure già sperimentate non solo in Cina, ma anche nelle assai meno distanti Lombardia e Veneto.

Oggi la paura si avverte, eccome. Lo testimonia il messinese Antonio Sindoni, 25 anni, originario di Torregrotta, studente di un master in Business administration all'Università Antonio Nebrija di Madrid, città in cui vive da poco più di due anni: «Il 27 febbraio sono rientrato da una visita in Sicilia. La situazione in Spagna era molto tranquilla. Infatti, arrivato all'aeroporto Barajas, non sono stato sottoposto a controlli e sono rientrato a casa senza problemi».

In poco più di due settimane, il numero di casi è diventato preoccupante, «ma finché il governo non ha dichiarato lo stato di allarme - afferma Antonio Sindoni - la popolazione non ha preso sul serio la situazione. Fino al 13 marzo, bar e ristoranti erano pieni e la vita nella capitale continuava come se nulla fosse».

E poi il paradosso: «Madrid, principale focolaio, non è mai stata dichiarata “zona rossa”, quindi, fino alla pubblicazione del decreto, molti cittadini hanno avuto la possibilità di muoversi verso il Sud, seguendo il cattivo esempio dell'Italia». Due coetanei del messinese «hanno presentato la tipica sintomatologia da Covid-19, ma essendo i test riservati a casi gravi o a persone vulnerabili non hanno potuto confermare di essere infetti. Hanno però fatto un'autodiagnosi, risultata positiva e sono già guariti».

Nella comunità autonoma di Madrid, la risposta alla crisi sanitaria è iniziata il 9 marzo, «con la chiusura di tutti i centri educativi e l'imposizione di lezioni online. Nel frattempo, per paura del contagio, molte aziende avevano già attivato il lavoro da casa - spiega il giovane di Torregrotta -. Il risultato è stato che bambini, ragazzi e genitori hanno deciso di godere del bel tempo e della nuova libertà acquisita in piazze e parchi pubblici o andando in vacanza, annullando l'effetto delle prime misure. Così, il 13 marzo, il governo ha dichiarato lo stato di allerta», attivando ufficialmente il lockdown dall'indomani.

A proposito dei controlli, per chi non rispetta la quarantena «previste multe a partire da 600 euro. Data l'assenza dell'autocertificazione, sta alle forze dell'ordine decidere se la giustificazione per lasciare il domicilio rientri nelle attività consentite dalla legge».

Ormai, «il sistema sanitario è al collasso. Non si effettuano test a pazienti con sintomatologia lieve che non rientrano nella categorie a rischio. Quelli rapidi sono stati introdotti pochi giorni fa e non sono accessibili a tutti. Creata, infatti, un'app per l'autodiagnosi della popolazione non a rischio con sintomi lievi e raccomandato l'isolamento per 14 giorni. Perciò, il numero di casi è cresciuto esponenzialmente e probabilmente il dato reale è lontano da quello dichiarato», aggiunge il 25enne, che ne sta approfittando per intensificare gli studi, praticare yoga e dedicarsi al disegno.

«Rimango sempre in contatto con la mia famiglia e gli amici. È una situazione dura da affrontare, ora siamo obbligati soprattutto a convivere con noi stessi. Chi l'avrebbe mai detto - conclude - che un virus avrebbe cambiato il mondo?».

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