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Il premier britannito Boris Johnson uscito dalla terapia intensiva

Boris Johnson

Il premier britannico, Boris Johnson, è uscito dalla terapia intensiva dove era ricoverato da lunedì sera. «E' di ottimo umore», ha fatto sapere Downing Street, precisando che il premier è stato riportato in reparto, dove verrà attentamente monitorato. Il Regno Unito tira dunque un sospiro di sollievo per il 55enne leader conservatore, ma trascorrerà Pasqua a casa e ancora non vede la fine delle misure di confinamento, che scadono il prossimo lunedì. «Devono essere mantenute fino a quando non avremo prove chiare che abbiamo superato il picco», ha avvertito il ministro degli Esteri, Dominic Raab, che ha temporaneamente assunto le redini del governo.

Ma oggi la buona notizia è che il premier, se ancora non può tornare a Downing Street, almeno è stato trasferito in reparto. Johnson non è mai stato attaccato al ventilatore e non ha avuto la polmonite, ma il ricovero al St. Thomas' Hospital di Londra si era reso necessario perchè dopo 10 giorni dal contagio, aveva ancora sintomi persistenti del Covid-19, come la febbre alta. Il trasferimento in terapia intensiva aveva fatto temere il peggio, ma lentamente le sue condizioni sono migliorate e già ieri Downing Street aveva fatto sapere che riusciva a stare seduto nel letto e a interagire positivamente con il personale sanitario. Gli sono state sempre date le 'red Boxes', le scatole con i documenti governativi, e stamane l’ex ministro della Difesa, Tobias Ellwood, ha aggiunto che Bojo era «mentalmente in grado di prendere decisioni» e restava «accessibile» alla sua squadra di governo.

Un primo passo verso il ritorno sulla scena politica mentre il Paese affronta una durissima battaglia per rallentare la diffusione del coronavirus che finora ha fatto nel Paese 7.978 morti, di cui 881 solo oggi. Una lotta che Johnson non era preparato a combattere: dopo essere riuscito a portare a casa l’obiettivo dell’uscita del Regno Unito dall’Ue a fine gennaio, il capo di Downing Street puntava tutto sul 2020 per gettare le basi - in primis economiche - del ritorno della Gran Bretagna sulla scena mondiale. Con una nuova compagna al suo fianco, Carrie Symonds, 32enne bionda e agguerrita, ex capo della comunicazione dei conservatori, e un figlio in arrivo, BoJo si è trovato di fronte il flagello Covid-19. Fedele al suo credo libertario, è stato sempre riluttante a imporre regole stringenti ai suoi concittadini, anche quando le pressioni perchè chiudesse progressivamente la vita sociale del Paese si sono fatte via via più impellenti.

Il 28 febbraio, alla notizia della morte di un passeggero britannico a bordo della nave da crociera Diamond Princess, si era limitato a dire che «la cosa migliore che la gente può fare per impedire la diffusione del coronavirus è lavarsi le mani».

Meno di una settimana dopo, il 3 marzo, in occasione della presentazione del 'piano d’azionè contro il Covid-19, Johnson era andato oltre e aveva riferito che continuava a «stringere mani continuamente», anche in ospedale dove si era recato la sera prima e «c'erano in effetti alcuni pazienti positivi al coronavirus». Per poi concludere sostenendo che, «per la vasta maggioranza delle persone di questo Paese, dovremmo andare avanti con l’ordinaria amministrazione». Quel «business as usual» è stata una maledizione che da allora lo ha rincorso.

Il tempo correva, come l’epidemia, e il 12 marzo il premier era stato costretto ad andare in conferenza stampa per tentare di rassicurare i concittadini e presentare loro la strategia del governo, un approccio soft che puntava sulla controversa immunità di gregge. In quell'occasione il capo di Downing Street aveva ammesso che si trattava della «peggiore crisi di salute pubblica in una generazione», esortando la popolazione a prepararsi: «Molte altre famiglie perderanno i loro casi prima del tempo». Nonostante ciò, nessuna chiusura delle scuole, una misura che «potrebbe fare più male che bene al momento», aveva puntualizzato. L’impennata di casi lo aveva portato una settimana più tardi prima a bloccare l’attività didattica e poi a esortare - non ordinare - di «evitare contatti non-essenziali», disertando pub e ristoranti, così come di restare a casa per una settimana in caso di sintomi come febbre alta e tosse secca. Il 22 marzo, dopo che nel fine settimana assolato parchi, spiagge e pub erano stati presi d’assalto, Johnson aveva ribadito il «forte consiglio del governo» ad applicare misure di distanziamento sociale; l’indomani era infine arrivato l’ordine di restare a casa, pena l’intervento delle forze dell’ordine.

Intanto, anche a White Hall e a Westminster si andava diffondendo il Covid-19 e il 27 marzo, con un messaggio su Twitter, era stato lo stesso Johnson ad annunciare di essere risultato positivo, precisando però di avere solo «sintomi lievi». Grazie alla «magia della tecnologia», aveva assicurato, avrebbe mantenuto il suo posto al comando del governo anche dall’auto-isolamento a Downing Street. I giorni erano passati ma i sintomi no, si erano anzi aggravati, come in tanti non avevano mancato di sottolineare, dopo averlo visto con la faccia pallida e sbattuta e la criniera più spettinata del solito affacciarsi sul portone della residenza per unirsi all’applauso celebrativo nei confronti del personale sanitario. Domenica scorsa è arrivato il ricovero all’ospedale, poi la terapia intensiva. Ma Johnson è «un lottatore» e ce la farà, aveva assicurato due giorni fa Raab.

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