Come temevano i fedeli, sarà un Ramadan senza pasti consumati insieme dopo il tramonto e soprattutto senza preghiere e veglie in moschea, quello che inizierà il prossimo 24 aprile per i musulmani, ancora nel pieno dell'epidemia da Coronavirus. Le dirette streaming, diventate ormai l'unica modalità di preghiera collettiva per tanti fedeli e per diversi Credo, non sono una soluzione alternativa per chi è di fede islamica, in cui presenza, vicinanza, ritrovo sono pilastri del culto e della sua sacralità, che non può quindi trasferirsi online. E allora, se la moschea non si può raggiungere, è la moschea che raggiunge i fedeli con la campagna 'Una moschea a casa nostra': "abbiamo scelto di fare le cose in famiglia, trasformando una stanza, un angolo della casa in moschea" rivolta a La Mecca e ricreando l'atmosfera adatta alla preghiera "con qualche tappeto, il Corano, un rosario: una cosa molto semplice per pregare e vivere il Ramadan in famiglia", ha spiegato all'ANSA Iman Koudsi, dell'Associazione Islamica di Milano e moglie dell'imam della moschea Mariam in via Padova, ammettendo però che "in questo periodo ci è mancato molto pregare insieme, non vediamo l'ora di tornare, perché la comunità ci manca". E per pregare uniti seppur distanti, gli imam hanno condiviso sul web gli orari esatti delle 'salat', le preghiere: la prima di giovedì prossimo sarà alle 4.28 del mattino. Nei trenta giorni di questo mese 'benedetto' fatto di digiuno, autodisciplina e preghiera, sono tante le tradizioni solitamente condivise che per colpa del Covid-19 saranno invece 'solitarie'. Ma non si rinuncerà allo spirito della comunità e alla condivisione, assicura Koudsi: "la sera di solito ci si ritrova tutti insieme in moschea a mangiare dopo il tramonto e per la preghiera". Si sciolgono tutti, anche chi non ha una casa o un pasto pronto: "quest'anno non si potrà fare e abbiamo pensato in questa emergenza di portare avanti comunque questa idea distribuendo pacchi con cibo e mascherine a chi è difficoltà e ne ha bisogno". La preoccupazione maggiore e la speranza, è quella di poter festeggiare almeno la fine del Ramadan e del digiuno: "non farlo sarebbe tragico per noi - spiega ancora Koudsi -, non è festa se non si prega tutti insieme, senza vedere e abbracciare gli altri, senza vedere i bambini che ricevono i regali e le 'paghette' dai parenti, senza indossare gli abiti nuovi" scelti proprio per la Festa della Rottura. Tradizioni e abitudini, quelle del mese sacro, che servono anche a mantenere viva una cultura, non solo una fede, soprattutto nelle seconde generazioni come quella di Iman: "da mamma dico che questo periodo di quarantena, anche se difficile, è stato una buona cosa per passare tempo in famiglia, per parlare di più con i bambini senza fretta, per leggere con loro il Corano, chiarire i loro dubbi e rispondere alle loro domande". "Loro che sono nati qui, parlano solo italiano - ha concluso sorridendo - ora stanno imparando un arabo che a me sembra un po' 'straniero'".