«Siamo cautamente ottimisti e bisogna sempre ricordare che non ci sono garanzie quando si parla di vaccino. Abbiamo questo obiettivo: avere un vaccino a disposizione entro la fine del 2020 o gli inizi del 2021». Lo ha detto a Sky TG24 Anthony Fauci, immunologo membro della task force della Casa Bianca sul Covid-19, parlando delle ricerche Usa di un vaccino. «Abbiamo già iniziato - ha spiegato - la fase due della sperimentazione sull'uomo e in luglio, se tutto va bene la prima settimana di luglio, speriamo di partire con la fase tre che ci permetterà di capire se il vaccino effettivamente funziona e se è sicuro. Se andiamo avanti con questa sperimentazione a luglio, agosto, settembre e ottobre speriamo che per l’autunno sapremo se effettivamente funziona e se così sarà a quel punto sarà disponibile per tutti entro dicembre del 2020, o al più tardi nei primi due mesi del 2021». A proposito di aziende impegnate nella ricerca sul vaccino, alla domanda se sarà l’azienda bio-farmaceutica Moderna la prima a trovare una soluzione per il Covid-19, Fauci ha sostenuto «non credo che si possa già dire che vinceranno loro questa corsa. Al momento certo sono in vantaggio sui tempi, ma ci sono molti candidati che arriveranno alla stessa fase di sperimentazione forse uno o due mesi più tardi. Non credo - ha proseguito - che ci sarà un solo vincitore, credo che ci sarà più di un vaccino che alla fine funzionerà. Quindi non credo che ci sarà una sola azienda che conquisterà il mercato, credo che saranno due, tre o forse anche più aziende. E questa è una buona notizia perché abbiamo bisogno del vaccino per il mondo intero. Non solo per gli Stati Uniti o per l’Italia, ma per il mondo intero». Ma il virus sta perdendo forza? «Non credo che ci siano ancora prove concrete per dire che il virus sta perdendo forza. Ovviamente i virus mutano quando replicano, particolarmente i coronavirus come questo, ma se guardiamo adesso alla malattia e ai suoi effetti, come stiamo vedendo nelle città americane, nulla ci indica che la malattia sia meno grave. Abbiamo più di centomila morti negli Stati Uniti, il numero più alto al mondo e qui non stiamo vedendo alcun tipo di indebolimento del virus», ha risposto Fauci. Non si può dire che ci sia una cura contro il Sars-CoV-2 che funzioni, «assolutamente no. Abbiamo visto che medicinali come il Remdesvir hanno avuto un impatto abbastanza significativo nel migliorare le condizioni, semplicemente perchè diminuiscono il tempo necessario per guarire, non lo annullano certo al 100%, riducono in parte il tempo necessario per superare la malattia. Attualmente abbiamo diverse sperimentazioni in corso: su medicinali normalmente usati per altre malattie che possono avere effetti anche sul Covid-19. Stiamo provando anche a creare un trattamento nuovo e specifico, poi c'è la terapia con il plasma dei guariti, le immunoglobuline. Insomma ci sono 5 o 6 diverse terapie che stiamo sperimentando, ma allo stato attuale non c'è nessuna terapia che ha realmente un effetto risolutivo». Quanto agli effetti dell’idrossiclorochina, è necessario aspettare i risultati dei test clinici: «Non ci sono prove scientifiche, al momento, su eventuali effetti positivi dell’idrossiclorochina. Abbiamo un paio di studi al momento che sono sulla buona strada e che speriamo in poco tempo riusciranno a darci una risposta definitiva sulla sua efficacia, ma la maggior parte delle cose che si vedono ora in giro al momento non hanno alcuna valenza scientifica. Quindi dobbiamo sospendere per adesso un giudizio su questo e dobbiamo aspettare i risultati dei test clinici». Negli Usa «non credo che l’epidemia di coronavirus sia del tutto sotto controllo, soprattutto in alcune parti del Paese che sono state duramente colpite, come la zona metropolitana di New York che, sfortunatamente, ha il record di contagi e di morti, ma dobbiamo dire che le cose vanno molto meglio adesso. In città come New Orleans o Detroit, che hanno avuto un alto numero di contagi, la situazione sta nettamente migliorando. Tuttavia, in altre parti del Paese anche in alcune piccole città dove non avevamo visto molti casi fino adesso, stiamo vedendo ora dei nuovi contagi. Da una parte i focolai più importanti si stanno spegnendo, ma altri ne stanno nascendo. Quindi in generale la curva dei contagi sta andando giù negli Stati Uniti e le cose stanno migliorando, ma molto lentamente. Non stiamo vedendo una discesa rapida della curva, ma un miglioramento graduale». «Negli Stati Uniti - ha spiegato Fauci - all’inizio avevamo pochi casi. I casi originali erano di persone rientrate da Whuan. Ma quando ho visto quello che accadeva in Italia mi sono davvero preoccupato perchè era chiaro che c'era stato molto turismo tra la Cina e l’Italia e, prima che l’Italia potesse rendersi conto di quello che stava succedendo, la situazione è diventata devastante. Sfortunatamente l’Italia è stata un pò colta di sorpresa rispetto a tutte le persone infette che evidentemente erano riuscite ad entrare. E poi quando ho visto l’enorme pressione sul sistema sanitario, specialmente nel nord del Paese, le mie peggiori paure sono diventate realtà perchè a quel punto ho capito davvero che questo era un virus con un altissima contagiosità e l’Italia ne era l’esempio». Nell’intervista, Fauci parla anche dell’Oms: «Dal punto di vista medico certo l’Oms non è un’istituzione perfetta. Ha molte debolezze e fa degli errori, ma il mondo ha bisogno dell’Oms ed ha una grande valore anche se non è perfetto. Gli italiani, così come gli americani, hanno riconosciuto che ha fatto alcuni sbagli, ma credo che, se la scelta deve essere tra avere o non avere l’Oms, non ho dubbi, dobbiamo avere l’Oms». E quanto alla comunità scientifica in Cina, con questa «abbiamo sempre avuto una relazione molto buona e una buona collaborazione, ma questa volta non abbiamo avuto molta trasparenza dalle autorità in comando». Parlando degli Usa, Fauci si dice preoccupato dalle proteste violente in atto, «sono alquanto preoccupato per quanto sta accadendo negli Stati Uniti, per queste proteste nate da un tragico incidente, con l’uccisione di una persona innocente da parte di un poliziotto. Le proteste pacifiche non sono particolarmente preoccupanti, ma gli scontri violenti temo che possano farci fare un passo indietro rispetto al controllo dell’epidemia di coronavirus, perchè ovviamente in quelle situazioni non si seguono le indicazioni di sanità pubblica come il distanziamento sociale. Quindi sì, sono preoccupato di quello che potrà accadere nelle prossime due settimane sul fronte del contagio e non sono l’unico ad essere preoccupato per questo». Quanto ai rapporti con l’amministrazione Trump, «dal mio punto di vista, la relazione con questa amministrazione è buona. Sono un membro della task force della Casa Bianca sul coronavirus guidata dal vicepresidente. La mia relazione con il presidente e con il vicepresidente è buona. Certo, abbiamo avuto qualche conflitto di cui la stampa ha dato notizia, ma più che conflitti sono state differenze di vedute, perchè il mio ruolo è di occuparmi di salute pubblica, mentre c'è chi in questo Paese ha come compito quello di lavorare per la ripresa economica e tra queste due questioni ci può essere un pò di tensione. Le cose in generale vanno bene: io sollevo la preoccupazione sui tempi delle riaperture e sulla possibilità di una nuova ondata se andiamo troppo in fretta, ma altrimenti le cose vanno bene». E sulla riapertura dei confini Usa, «credo che sia impossibile prevedere, perché dipende da tanti fattori. Dato che le cose stanno andando meglio in Italia e in Europa, credo che negli Stati Uniti stiamo iniziando a pensare a questa possibilità, ma sulla possibilità di riaprire i confini come prima dell’epidemia ancora nessuna decisione è stata presa». Ad esempio, «nelle prime settimane di questa epidemia, abbiamo chiesto più volte di poter inviare i nostri medici della CDC, i nostri epidemiologi in Cina per capire cosa stava succedendo, per poter avere degli elementi per capire come dovevamo rispondere quando l’inevitabile sarebbe accaduto, quando avremmo avuto dei casi negli Usa. Ma le autorità cinesi per lungo tempo non ci hanno permesso di andare lì e di capire quello che stava succedendo a Whuan». E’ stato solo dopo varie settimane - ha detto Fauci - , quando hanno dato il permesso a degli esperti dell’OMS di andare, che hanno lasciato due americani entrare, uno del mio centro, il NIAID e un altro del CDC, ma abbiamo dovuto aspettare molte settimane prima che questo potesse accadere. C'è stata una grande differenza rispetto all’Italia, con cui avevamo uno scambio costante di informazioni. In Cina, invece, anche se gli scienziati volevano collaborare, le autorità sanitarie non hanno mostrato questa volontà di trasparenza». Infine, «l'Italia e gli Stati Uniti sono sempre stati alleati non solo politicamente, ma anche scientificamente. Nel mio laboratorio ho insegnato a decine di scienziati italiani, molti dei quali adesso sono in prima linea in Italia nella lotta al Covid-19. Quando ho visto quello che succedeva in Italia mi sono immediatamente messo in contatto con molti dei miei ex studenti e colleghi e ho avuto così un’idea chiara di quello che stava accadendo. Per me è stato evidente sin da subito che l’Italia si trovasse in una situazione molto difficile, con un’esplosione di casi di cui non avevano colpa. Le persone erano entrate nel paese spargendo il virus e prima che si potesse fare qualcosa, il focolaio era già enorme. Credo che l’Italia abbia fatto davvero un buon lavoro considerando che siete stati colpiti molto duramente». «L'Italia - ha spiegato - ha un’eccellente sistema sanitario con scienziati e medici brillanti che sanno benissimo quello che fanno. Non è certo un Paese che non ha idea di come gestire una situazione del genere, ma nonostante tutta la sua forza è comunque stata colpita molto duramente. Credo che il fatto che l’italia abbia chiuso subito con il lockdown sia stata una cosa molto positiva. Il solo problema, forse, e non dico questo per criticare l’Italia, perché è stata davvero colta di sorpresa, è che quando si è resa conto della gravità e ha chiuso tutto, il virus si era già diffuso enormemente, così tanto che il sistema sanitario è quasi collassato. Mi ricordo delle telefonate con i miei colleghi in Italia in cui mi dicevano che non avevano abbastanza respiratori o posti in terapia intensiva per tutti. E’ una lezione che tutti abbiamo imparato, ma non penso che si possa criticare l’Italia perchè non credo che abbia fatto nulla di sbagliato. Penso solo che la quantità di pazienti sia stata così importante che ogni sistema sarebbe stato travolto».