Barack Obama lo va dicendo da giorni: «Quello che non mi fa dormire la notte è che Donald Trump si prepari a contestare la legittimità del voto». Peggio, l'ex presidente teme una vera e propria deriva autoritaria: «Se non lo fermiamo in tempo potrebbero accadere brutte cose, come in Europa 60, 70 anni fa». Puntuale è arrivato l’ennesimo tweet shock del tycoon, che per la prima volta ipotizza il rinvio delle elezioni presidenziali del 3 novembre, un fatto senza precedenti nella storia americana: potrebbe rendersi necessario - spiega - per l’elevato rischio di brogli. Uno scenario che aprirebbe la strada a una crisi costituzionale mai vista negli Stati Uniti. Ma Trump ormai è sempre più deciso a giocare tutte le carte, anche con mosse spregiudicate. In caduta libera nei sondaggi, con un virus che uccide un americano al minuto e un’economia entrata in profonda recessione, non stupisce quindi che il tycoon valuti la cosiddetta 'opzione nucleare': con il voto per posta per evitare il contagio in tempi di pandemia «le elezioni del 2020 sarebbero le più scorrette e fraudolente della storia. Sarebbero di grande imbarazzo per gli Usa», ha twittato il presidente, negli stessi minuti in cui la breaking news del pil americano crollato del 32,9% nel secondo trimestre faceva il giro del mondo. «Ritardare il giorno delle elezioni fino a quando la gente potrà votare in modo appropriato e sicuro?», si chiede quindi il tycoon. Una provocazione forse, ma intanto Trump comincia instillare il dubbio, a seminare l’idea che il voto per posta aumenta in maniera esponenziale il pericolo delle interferenze straniere e di elezioni falsate. Del resto è da mesi che va avanti la sua campagna contro le schede elettorali inviate direttamente nelle case degli americani: un sistema che i repubblicani vorrebbero limitare il più possibile e che i democratici vorrebbero invece estendere il più possibile, convinti di assicurarsi così più consensi. L’uscita di Trump però non è piaciuta a gran parte dei vertici e dell’establishment del partito repubblicano: «La data del voto è scolpita nella pietra», ha reagito il leader della maggioranza conservatrice in Senato, Mitch McConnell. Mentre la speaker della Camera Nancy Pelosi ammonisce: «A decidere è solo il Congresso». In effetti per la costituzione americana a fissare la data del voto può essere effettivamente solo il Congresso. E qualunque essa sia il presidente e il vicepresidente in caso di sconfitta devono comunque lasciare la Casa Bianca categoricamente il 20 gennaio a mezzogiorno. Con la Camera attualmente in mano ai democratici, poi, è improbabile se non impossibile che la data del voto possa essere cambiata con una nuova legge. Anche se Trump, azzarda qualcuno, potrebbe sfruttare la pandemia per invocare «poteri emergenziali» che di fatto non ha. Ecco allora l’allarme lanciato da Obama e i democratici, quello della svolta autoritaria di un presidente che «sfrutta le paure e la rabbia della gente e cerca di incanalarle in maniera nativista, razzista e sessista». Intanto l’ex inquilino della Casa Bianca ha avuto l’onore di pronunciare il discorso per l’ultimo addio all’icona dei diritti civili John Lewis, nel corso di una funzione religiosa ad Atlanta alla quale hanno partecipato altri due ex presidenti, George W.Bush e Bill Clinton. Accanto a loro anche il candidato democratico alle presidenziali Joe Biden, in una cerimonia in diretta tv divenuta inevitabilmente uno spot contro Trump, il grande assente. L’ultimo dispetto di Lewis al tycoon, nota qualcuno, quel presidente contro cui ha combattuto la sua ultima battaglia.