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Bielorussia, la Ue non riconosce l'esito delle elezioni e prepara "sanzioni mirate"

Alexander Lukashenko

L’Ue non riconosce l’esito delle elezioni in Bielorussia e annuncia «sanzioni mirate», il prima possibile, contro i diretti responsabili «delle violenze sui manifestanti, della repressione e della falsificazione delle elezioni». Lo hanno reso noto il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, al termine del vertice urgente sulla crisi bielorussa.

Nel frattempo a Minsk il presidente Aleksandr Lukashenko ha allertato Interno e Difesa contro gli interventi esterni e contro i movimenti della Nato. «Vanno soppresse le azioni di protesta», l’ordine impartito, mentre il Cremlino ha fatto sapere che «ora non c'è bisogno di un intervento militare russo in difesa del contestato presidente, nel quadro dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva.

L’Ue ha accolto la richiesta della leader dell’opposizione, Svetlana Tikhanovskaya, la 37enne fuggita nella vicina Lituania dopo aver rivendicato la vittoria al voto del 9 agosto, che in vista del vertice aveva invitato «a non riconoscere queste elezioni fraudolente». «Le elezioni non sono state eque nè libere e non hanno rispettato gli standard internazionali. Non riconosciamo i risultati presentati dalle autorità bielorusse», ha dichiarato Michel, prima di annunciare che «a breve un considerevole numero di individui sarà sanzionato».

Vi è stato «un sostegno unanime alle sanzioni mirate contro i responsabili delle violazioni in Bielorussia senza colpire la popolazione», ha confermato von der Leyen. «Lavoriamo affinchè vengano adottate il prima possibile e affinchè non riguardino la popolazione che, anzi, vogliamo aiutare», ha precisato. «La Commissione europea - ha annunciato la presidente dell’esecutivo Ue - mobiliterà altri 53 milioni di euro per sostenere il popolo bielorusso in questi momenti difficili. Due milioni di euro andranno all’assistenza delle vittime della repressione e dell’inaccettabile stato di violenza. Un milione per sostenere la società civile e i media indipendenti e 50 milioni come sostegno all’emergenza coronavirus per il settore sanitario, ma anche per le piccole e medie imprese, gruppi vulnerabili e servizi sociali».

E da Minsk non arrivano segnali di mediazione. Lukashenko, al potere da 26 anni, non ha alcuna intenzione di cedere. In una riunione del Comitato per la sicurezza dello Stato (Kgb) ha dato ordine al ministero dell’Interno di prevenire disordini nel Paese, in particolare nella capitale Minsk, e al ministero della Difesa ha chiesto di monitorare i movimenti della Nato. «Non devono esserci più rivolte a Minsk», ha avvertito. «La gente è stanca, la gente chiede pace e tranquillità». Tra i compiti assegnati al dicastero vi è anche quello di rafforzare i controlli alle frontiere «per bloccare l’arrivo di militanti, armi, munizioni e denaro da altri Paesi che alimentino le proteste». Ha chiesto inoltre al Kgb di «identificare gli organizzatori delle proteste di piazza, sopprimere le loro azioni e smascherare i canali di finanziamento».

La strategia di Lukashenko non si limita ai confini interni. «Il ministero della Difesa dovrebbe prestare particolare attenzione ai movimenti delle truppe Nato nei territori della Polonia e della Lituania», ha dichiarato. Dovremmo monitorare le direzioni dei loro movimenti e i loro piani. Noi stiamo vedendo tutti questi piani, ma non è un grande problema per noi», ha aggiunto.

La risposta del capo di Stato bielorusso all’Ue arriva ancora prima del vertice di Bruxelles. «I leader dei Paesi Ue pensino ai propri problemi», ha affermato accusano l’Occidente di finanziare le proteste. Dall’Est, invece, la Russia guarda alla Bielorussia come a una nazione «alleata e fraterna» e considera quanto sta accadendo «un affare interno» del Paese. Lo ha assicurato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, dicendosi convinto che «tutti dovrebbero fare il necessario per creare le condizioni per mantenere la situazione all’interno del quadro della legge, in cui potrebbe svolgersi il necessario dialogo» tra autorità e opposizione.

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