«Ciao, qui è Navalny. Mi siete mancati tutti». Per un uomo che ha fatto del web la sua riserva di caccia (politica), e che ha costruito un impero mediatico partendo da un blog, il primo post (su Instagram) da quel fatidico 20 agosto sa di ritorno al futuro, solido certificato di resurrezione. Emaciato, sguardo stanco seppur fiero, casacchina ospedaliera d’ordinanza, Navalny si è fatto immortalare in posa con la sua famiglia: la moglie Yulia e i figli Dasha e Zakhar. E anche l’umorismo graffiante è quello di sempre. «La gente lo dà per scontato ma respirare è una cosa meravigliosa: ve lo consiglio».
Insomma, Navalny c'è. Con molti limiti - lo dice lui stesso - ma con la voglia di combattere intatta. Tant'è vero che la sua portavoce, Kira Yarmush, ha subito confermato le indiscrezioni circolate a mezzo stampa in mattinata. Ovvero che il principe degli oppositori russi non ha nessuna intenzione di riparare in esilio in Germania - al contrario di quanto si ripete in Russia - ma vuole tornare a Mosca non appena possibile.
«I giornalisti mi hanno scritto per chiedermi se è vero che Alexei ha in programma di tornare a casa», ha detto Yarmush su Twitter. "Capisco il motivo di questa domanda, tuttavia mi sembra strano che si possa pensare il contrario. Posso confermarlo ancora una volta: non sono mai state prese in considerazione altre opzioni». Certo, i tempi al momento non sono prevedibili. «Non riesco a fare niente», ha confessato Navalny. Se non appunto respirare senza l’aiuto del ventilatore. «Ma essenzialmente sono me stesso», ha aggiunto. Particolare importante, dato che molti esperti di composti al nervino avevano messo in dubbio una piena ripresa dal punto di vista cerebrale. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che oggi per la prima volta lo ha chiamato per nome e non il «paziente berlinese» come di consueto (un errore?), ha messo in chiaro che ogni cittadino della Federazione Russa è «libero di uscire ed entrare» dal Paese quando vuole e si è detto «felice" dell’ipotesi di un suo ritorno. Ma al di là del politicamente corretto, la verità è che il caso Navalny sta portando le tensioni tra Russia e il blocco occidentale a un livello mai visto prima. Pezzi da novanta dell’establishment moscovita lanciano infatti accuse sempre più gravi, riprese poi a piene mani dalla macchina della propaganda fedele al Cremlino. Il capo dei servizi segreti esterni (SVR) Serghei Naryshkin ha ad esempio incolpato la Germania o di aver avvelenato Navalny o di aver truccato le analisi.
«È un dato di fatto che nel momento in cui Navalny ha lasciato il territorio russo non c'erano tossine nel suo organismo: pertanto abbiamo molte domande per la parte tedesca», ha dichiarato in mattinata. A stretto giro gli ha fatto seguito il presidente della Duma Vyacheslav Volodin, già vice capo dell’amministrazione presidenziale e fedelissimo di Putin. «Il caso Navalny - ha tuonato in tv - è una provocazione da parte delle potenze occidentali, in particolare degli Stati Uniti; l’obiettivo è fermare lo sviluppo della Russia attraverso le sanzioni. Ma non ci riusciranno». La teoria del complotto piace molto, ultimamente. Peskov non arriva a tanto ma batte il tasto sulla mancata cooperazione da parte della Germania. «Non capiamo perché non diano a noi i campioni biologici ma a Francia e Svezia sì».
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