«Un giorno storico per la pace, nasce un nuovo Medio Oriente con un accordo che nessuno pensava fosse possibile e che a breve verrà firmato da altri cinque o sei Paesi arabi». Donald Trump sigilla con nuove promesse la pax americana in Medio Oriente, formalizzata dalla firma alla Casa Bianca degli 'accordi di Abramo', ossia le intese per la normalizzazione dei rapporti a 360 gradi tra Israele da un lato e gli Emirati Arabi e il Bahrein dall’altro, in cambio della sospensione dell’annessione della Cisgiordania. «Una nuova alba di pace, superiamo le divisioni e ascoltiamo il battito della storia», gli ha fatto eco il premier israeliano Benyamin Netanyahu, che ha siglato le intese con i ministri degli Esteri degli altri due Paesi, rispettivamente Abdullah bin Zayed Al Nahyan e Khalid bin Ahmed bin Mohammed Al Khalifa. «Storici accordi di pace», li ha definiti il presidente americano nel South Lawn della Casa Bianca, davanti ad una folla di centinaia di invitati con pochissime mascherine e senza distanziamento sociale. Ma Emirati e Bahrein non sono mai stati in guerra con Israele, non sono trattati di pace come quelli siglati con l’Egitto nel 1979 e con la Giordania nel 1994. In ogni caso si tratta di intese storiche che cambiano la mappa e gli equilibri mediorientali, segnando l’accettazione di Israele nel mondo arabo e un’alleanza comune contro l’Iran, il nemico numero uno di Washington nella regione. Per Trump è indiscutibilmente un trionfo diplomatico, che gli permette di accreditarsi come artefice di pace e di vantare la candidatura al Nobel a sette settimane dalle elezioni, mentre spera di incassare un nuovo successo dai negoziati sull'Afghanistan. Come suggerisce lo stesso nome degli accordi, è una vittoria anche per il suo amico ed alleato Netanyahu, inseguito finora dalle polemiche del processo per corruzione e per il rinvio del lockdown per la pandemia. L’unico prezzo che paga è la sospensione, non la rinuncia, all’annessione della Cisgiordania. Resta più di qualche spina, a partire dai palestinesi, che si sono sentiti «pugnalati alle spalle» dagli accordi dei due Paesi arabi dopo aver negato a Trump il ruolo di mediatore per le sue decisioni favorevoli a Israele. «E' un giorno buio», ha detto il premier palestinese Mohammed Shtayyeh. Ma il tycoon promette ora di coinvolgere altri Paesi del Golfo, probabilmente Oman e Arabia Saudita, convinto che alla fine anche i palestinesi "arriveranno a un punto in cui vorranno unirsi all’accordo di pace», altrimenti «saranno lasciati da parte». C'è poi la questione dei caccia F-35: il tycoon ha detto che non avrebbe alcun problema a venderli agli Emirati Arabi ma resta, almeno ufficialmente, l’opposizione di Israele, che vuole mantenere la supremazia militare nella regione. Montano intanto le tensioni con l’Iran dopo la pubblicazione di un rapporto dell’intelligence Usa secondo cui Teheran pianifica l’assassinio dell’ambasciatrice americana in Sudafrica Lana Marks per vendicare l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani, colpito in un raid americano all’aeroporto di Baghdad. Il commander in chief ha già ammonito via Twitter che la risposta a qualunque attacco iraniano sarà «mille volte più forte». Respingendo le accuse, Teheran lo ha invitato a non commettere «un nuovo errore strategico» e ad «evitare un nuovo avventurismo» solo per «conquistare un altro mandato presidenziale». Ma dalla tribuna della Casa Bianca il tycoon ha offerto un ramoscello d’ulivo: «Farò un grande accordo con l'Iran dopo le elezioni, anche se Teheran sta aspettando il voto sperando di fare un accordo migliore con sleepy Joe Biden».