Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Dalla Colombia alla 'ndrangheta, Salvatore Mancuso e il "sogno" di incontrare Gratteri

Salvatore Mancuso

Il temuto ritorno in patria e la richiesta rimasta inascoltata. «Io voglio andare in Italia e parlare con il procuratore Gratteri, ho molte cose da dire»: Salvatore Mancuso, 50 anni, ricorda uno dei personaggi del film Apocalypse now. Per anni è stato il “comandante supremo” delle Auc (Autodefensas unidas de Colombia) una formazione paramilitare composta da 12.000 uomini e responsabile di gravi crimini.

"Don Salvatore" lavorava in coppia con Carlos Castano, inteso come "El boiaco", nemico giurato di Pablo Escobar Gaviria e fondatore con i fratelli Vincente e Fidel del gruppo dei “Los Pepes” che contribuì alla distruzione dell'impero del padrone di Medellin. Mancuso ha vissuto nei territori del sud ovest della Colombia compresi tra le città di Cordoba e Uraba scegliendo poi di uscire dalla clandestinità con l'avvento del Terzo Millennio approfittando del processo di pacificazione avviato nel suo Paese.

I connazionali, tuttavia, l'hanno successivamente tradito affidandolo ai “gringos”. Dodici anni addietro, infatti, il "generale" della Auc è stato consegnato alle autorità degli Stati Uniti insieme con altri 13 "comandanti" dei gruppi paramilitari e dei narcos colombiani tra cui Diego Fernando Murillo, detto "Don Berna", erede e storico rivale di Escobar a Medellin.

Negli Usa, nel 2009, Mancuso, che ha poi pienamente collaborato con la giustizia americana, è stato condannato per traffico internazionale di stupefacenti scontando la pena rinchiuso nelle temute prigioni federali che ospitano in questo momento anche il celeberrimo Joaquim Guzman Loeira, inteso come “el Chapo”, capo del cartello messicano di Sinaloa. “Santander Lozada”, - così amici e nemici chiamavanoMancuso ai tempi della vita da imprendibile “primula” - è originario di Sapri, gode per questo di doppia cittadinanza ed ha sempre avuto in testa l'Italia.

Proprio per questo il procuratore Gratteri, una decina d'anni fa, scoprì una immensa operazione di riciclaggio messa in piedi dal “generale” che prevedeva l'acquisto di centinaia di ettari di terreno in Toscana, tra le colline del Chianti. Nel Paese di origine della sua famiglia, “Santander Lozada” aveva infatti immaginato di poter vivere alla grande e godersi i soldi accumulati con la “coca”.

Con l'aiuto del suo “contabile” Alfredo Salazar Castaneda e di un faccendiere romano, Giorgio Sale, stava per acquistare una grande azienda agricola e per prepararsi al trasferimento aveva cominciato a concludere “affari” con esportatori del nostro Paese: gestiva infatti l’importazione annua di 800 bottiglie di “Brunello di Montalcino” e di centinaia di capi di vestiario italiano. Si trattava di merce che finiva poi in dieci enoteche e cinquanta negozi marchiati “Made in Italy” che Mancuso aveva allestito nella capitale colombiana.

Gratteri scoprì tutto con l’inchiesta “Galloway-Tiburon” e volò a Bogotà per comprendere il volume di “affari” del “generale” e smascherarne i complici. Avviò una rogatoria internazionale mai immaginando che Mancuso sarebbe stato avvertito in tempo reale dell'iniziativa giudiziaria dai “complici” su cui poteva contare all'interno del Ministero della Giustizia colombiano.

Il procuratore antimafia calabrese arrivando nel suo albergo, nella zona più “in” della capitale sudamericana, notò la presenza di decine di uomini in tenuta militare e armati fino ai denti sia all'esterno che all'interno dell'hotel. Il magistrato pensò che fossero uomini delle scorte di esponenti di governo visto che quella era pure la zona delle ambasciate. Non era così: ad aspettarlo c'era Mancuso in persona.

«Volevo vedere chi era quel pazzo di giudice italiano che stava indagando su di me ed era addirittura venuto fino in Colombia pensando che io non lo scoprissi»: è stato lui stesso a raccontarlo al togato italiano dopo l'arresto e la estradizione negli States. Gratteri andò a Washington per interrogarlo e il “generale” appena ritrovatoselo davanti gli disse: «Io vi conosco». Mancuso venne sentito per sette ore dal magistrato inquirente al quale diede conto dei rapporti mantenuti con la 'ndrangheta calabrese.

Agli investigatori della Dea statunitense rivelò, invece, tutti i rapporti segreti intessuti con esponenti politici e militari di primo piano del suo Paese mettendo nei guai l'ex presidente colombiano Ernesto Samper coinvolto nei traffici di Carlos Castano; l'ex vicepresidente, Francisco Santos e tre generali: Ivan Ramirez, Rito Alejo del Rio e Orlando Carreno.

Ecco perché adesso, che ha scontato la sua pena in America, teme il ritorno nella nazione di origine dove l'aspettano tre diversi provvedimenti coercitivi relativi alle stragi compiute dalle Auc ed ai traffici imbastiti con i fratelli Castano. “Santander Lozada” sa di avere nemici vecchi e nuovi e teme di fare in carcere una brutta fine. Lui avrebbe preferito finire nella mani di Gratteri e degli italiani: quel procuratore testardo e coraggioso, alla fine, gli era piaciuto. Di uno così si poteva fidare perché gli aveva mostrato d'essere “inavvicinabile”.

Nel suo Paese, al contrario, Mancuso sa bene che in molti casi è solo questione di prezzo. E trovare un killer in un penitenziario non è poi così difficile. Ma gli Usa hanno deciso, niente Italia: il suo aereo è già in volo verso Bogotà. Pende una richiesta di estradizione.

Caricamento commenti

Commenta la notizia