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I magistrati egiziani: processo Regeni immotivato e senza prove

Rilanciata una mai provata pista alternativa, già sostenuta a suo tempo: il ricercatore friulano sarebbe stato torturato a morte per danneggiare gli allora eccellenti rapporti fra Italia ed Egitto

Giulio Regeni

«Un’altra provocazione». Così viene accolta in Italia l’ennesima tesi del Cairo sull'omicidio di Giulio Regeni, messa nero su bianco dalla Procura generale egiziana che punta anche il dito contro la magistratura italiana "rea" di voler processare in contumacia quattro agenti dei servizi segreti di Abdel Fattah al Sisi. Un processo che l'Egitto ritiene immotivato e basato su «conclusioni illogiche». E nel sostenerlo i magistrati egiziani rilanciano inoltre una mai provata pista alternativa, già sostenuta a suo tempo: il ricercatore friulano sarebbe stato torturato a morte per danneggiare gli allora eccellenti rapporti fra Italia ed Egitto, facendo tra l’altro ritrovare il corpo proprio nel giorno della visita al Cairo dell’allora ministra Federica Guidi. Affermazioni bollate come inaccettabili fra gli altri dal presidente della Camera, Roberto Fico, e dal leader di Pd, Nicola Zingaretti. La sortita egiziana, più o meno anticipata in un comunicato congiunto delle Procure di Roma e del Cairo il 30 novembre scorso, avviene tre settimane dopo che la magistratura italiana ha emesso avvisi di chiusura delle indagini su quattro appartenenti ai servizi segreti egiziani accusandoli di aver torturato e ucciso Regeni, perché scambiato erroneamente per spia e agitatore. Il Procuratore generale egiziano Hamada Al Sawi «ha annunciato che per il momento non c'è alcuna ragione» per avviare un’azione penale, si legge nel comunicato, «in quanto il responsabile» del crimine «resta sconosciuto». Secondo il magistrato del Cairo, l’impianto accusatorio italiano, su cui si intende di celebrare un processo pur in assenza degli imputati, «è basato su false conclusioni illogiche ed è contrario a tutti i fondamenti giuridici internazionali e ai principi del diritto che necessitano la presenza di prove certe». La tesi egiziana è che Regeni sia stato tenuto sotto osservazione dai servizi di sicurezza in seguito alla denuncia del capo del sindacato dei venditori ambulanti Mohamed Abdallah perché aveva comportamenti «inconsueti» per un ricercatore: Giulio avrebbe fra l’altro parlato agli ambulanti del «regime al potere» facendo loro notare che «potevano cambiare la situazione come avvenuto in altri Paesi». Il pedinamento, sostiene la Procura, fu però interrotto senza arrestarlo perché non aveva commesso reati. «Sconosciuti potrebbero aver sfruttato» questi atteggiamenti sospetti per commettere un crimine che si poteva facilmente attribuire alla sicurezza egiziana, fra l’altro facendo ritrovare il corpo proprio «a lato» di una sua caserma. E senza indicare nomi né esplicitare un ruolo di mandanti, la Procura egiziana accredita la tesi che imprecisate «parti ostili a Egitto e Italia vogliano sfruttare» il caso di Regeni «per nuocere alle relazioni» tra i due Paesi che prima dell’uccisione del ricercatore friulano avevano avuto «sviluppi positivi». Una spiegazione evocata in passato anche dal presidente Sisi. «Un’ennesima provocazione, inaccettabile», ha scritto Fico parlando di argomentazioni «vergognose» perché formulate «sapendo di mentire». La terza carica dello Stato italiano ha ricordato che «la Camera ha sospeso le relazioni diplomatiche con il Parlamento egiziano» dato che «a tutto c'è un limite».

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