Naftali Bennett alla fine ha scelto il centrista Yair Lapid: Israele è a un passo dalla svolta, ovvero da un governo senza Benyamin Netanyahu dopo 12 anni di dominio ininterrotto. «Farò un governo di unità nazionale con Lapid per far uscire Israele dalla voragine», ha annunciato in serata il leader della destra nazionalista di Yamina. «Chi dice che c'è un governo tutto di destra a portata di mano si sbaglia. Non c'è, chi lo dice mente», ha aggiunto attaccando Netanyahu. Un’accusa alla quale il premier uscente ha subito replicato, ribaltandola su di lui: «Bennett vi imbroglia - ha detto rivolto agli israeliani - questa è la truffa del secolo. Aveva detto in campagna elettorale che non avrebbe appoggiato Lapid, di essere un uomo di destra, attaccato ai suoi valori, ma i suoi valori hanno il peso di una piuma. E ora il governo della sinistra rappresenta un pericolo per il nostro Paese».
Se tutto andrà come sembra però, l’era Netanyahu in Israele volge al termine. E non è un caso che alla fine a spodestarlo siano stati proprio coloro che Netanyahu, spesso in malo modo, ha via via allontanato dal suo cerchio magico. Dall’ex delfino del Likud Gideon Saar, detestato da Sarah Netanyahu, al premier alternato bistrattato e avversario in quattro elezioni Benny Gantz; da Avigdor Lieberman, ministro della Difesa dimessosi per protesta nel 2018, allo stesso Naftali Bennett, un tempo fedele alleato e ora destinato a diventare premier al posto suo, seppure in rotazione con Lapid. Insomma Netanyahu - che tra l’altro è sotto processo a Gerusalemme per corruzione, frode e abuso di potere - è riuscito in un capolavoro politico al contrario: ha unito contro di lui quanti in realtà hanno pochissimo in comune.
Destra (Bennett, Saar, Lieberman), centro (Lapid, Gantz) e sinistra (Laburisti, Meretz) formeranno così una maggioranza che con tutta probabilità avrà l’appoggio - attivo o esterno - dei partiti arabi. Compreso l’islamista moderato Raam di Mansour Abbas che Netanyahu, conscio di non avere i numeri alla Knesset, aveva corteggiato con insistenza prima di subire l’altolà della destra religiosa sionista di Bezalel Smootrich. La settimana che si apre è una di quelle al fulmicotone politico per Israele. Lapid entro mercoledì - termine ultimo del mandato affidatogli dal presidente Reuven Rivlin - dovrà comunicare al capo dello Stato di poter sciogliere positivamente la riserva sull'incarico. Poi ci sarà un settimana di tempo per convocare la Knesset, che dovrà votare il nuovo governo. Se il duo Lapid-Bennett avrà dalla sua i 61 seggi necessari in aula - o un’altra formula parlamentare in grado di assicurargli la maggioranza - allora Israele eviterà le quinte elezioni in due anni che sembravano dietro l’angolo e che Netanyahu è sembrato perseguire nel calcolo di poterle vincere. Ma certo, fanno notare gli analisti, non sarà una settimana facile per un Paese che è in campagna elettorale permanente ed è profondamente diviso.
Difficilissimo per il Likud sarà rinunciare al potere visto che è il maggior partito di Israele con 30 seggi e altrettanto lo sarà per Netanyahu, che quel partito l’ha condotto per 12 anni di vittoria in vittoria e che ha guidato lo Stato ebraico in sfide decisive. Anche oggi Netanyahu ha cercato (invano) di far saltare l’intesa con un appello dell’ultimo minuto a Bennett e Saar. Poi ha annunciato che intende continuare in settimana il pressing sui due con tutti i mezzi possibili per strapparli a Lapid: la proposta è una rotazione a tre per un governo a trazione integrale di destra, con Saar subito premier, seguito dallo stesso Netanyahu e poi da Bennett. Una strada che Saar ha già respinto oggi ma che il Mago - come i suoi fan chiamano Netanyahu - intende percorrere lo stesso. Si apre una settimana davvero di fuoco in Israele. (ANSA).
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