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Elezioni in Iran: Raisi presidente, ma astensionismo record

Il presidente dell'Iran, Ebrahim Raisi

Come da pronostici, il giudice ultraconservatore Ebrahim Raisi, sanzionato dagli Usa per violazioni dei diritti umani, è stato eletto ottavo presidente dell’Iran al primo turno: nel voto di sabato ha raccolto il 61,95%, pari a 17,8 milioni di preferenze su un totale di 59,3 milioni aventi diritto. Il risultato era apparso già scritto quando il Consiglio dei Guardiani - organismo controllato dalla Guida Suprema Ali Khamenei e responsabile del vaglio dei candidati - a fine maggio aveva escluso dalla competizione figure di spicco sia di campo moderato e riformista che conservatore, probabilmente ritenute una minaccia alla vittoria del 61enne capo della magistratura, dalla folgorante carriera sotto l’ala di Khamenei ma anche dal passato carico di pesanti ombre, come quella di aver ordinato nel 1988 l’esecuzione di migliaia di prigionieri politici da membro del cosiddetto «comitato della morte» Un curriculum che ha fatto scattare la denuncia immediata di Amnesty International che chiede un’indagine su Raisi: questa vittoria, «ci ricorda in modo fosco che in Iran regna l’impunità», ha detto il segretario generale dell’organizzazione, Agnes Callamard.

Primo tra i leader stranieri a congratularsi è stato il russo Vladimir Putin, che in un messaggio al neo presidente eletto ha auspicato una «rafforzamento della cooperazione» tra i due Paesi ,in tutti i campi e nei dossier internazionali. Rohani ha incontrato il suo successore esprimendogli l’auspicio che da qui a 45 giorni - quando è previsto l’insediamento del nuovo governo - possa consegnargli un Paese con «una situazione migliore, tra cui la revoca delle sanzioni americane e una riduzione dei contagi da Covid». A Vienna, proseguono i negoziati indiretti dell’Iran con gli Usa per il ritorno all’accordo sul nucleare (Jcpoa), da cui l’amministrazione Trump era uscita nel 2018 reintroducendo pesanti sanzioni. Il sesto round di colloqui si è appena chiuso e la speranza ora è che si possa arrivare a un compromesso entro metà luglio.

«Raisi non lascerà il Jcpoa, ma non starà ad aspettare a lungo che europei e americani si decidano ad attuarlo, andrà avanti a progettare il futuro del Paese, puntando su nazioni non occidentali», spiega all’Agi l’analista politico di aerea conservatrice, Mohammad Marandi, professore all’Università di Teheran. «Penso che il suo gabinetto sarà più di sinistra, perchè ha promosso politiche di giustizia sociale e anti-corruzione», continua Marandi, secondo il quale in politica estera «si servirà di persone che la pensano come lui, cioè che l’Iran debba guardare più a Est, all’Asia del Sud e centrale, alla Cina, alla Russia». Promettendo di utilizzare «tutta l’esperienza del governo precedente», Raisi ha poi ringraziato il popolo iraniano: «Ha messo sulle mie spalle una grandissima responsabilità, spero di ricompensare questa fiducia con la mia presidenza». (AGI)

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