Lunedì 23 Dicembre 2024

I Talebani nel Panshir, "guerra finita, ora ricostruzione dell'Afghanistan"

Afghanistan, la resitenza in Panshir

«La guerra è finita, ora lavoreremo per ricostruire l’Afghanistan": così il principale portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, in conferenza stampa a Kabul, dopo l’annuncio della conquista del Panshir, unica provincia non ancora controllata dagli 'studenti coranici'. «Costruiremo un sistema forte, responsabile e inclusivo», ha assicurato il portavoce. La forza di resistenza anti-talebana nella valle afghana del Panshir ha reso noto che continuerà a combattere: poche ore dopo l’annuncio dei talebani di aver preso il controllo «totale» della valle, il Fronte di resistenza nazionale (Nfr) ha affermato di essere presente in "posizioni strategiche" in tutta la valle, aggiungendo che «la lotta contro i talebani e i loro partner continuerà». Dopo giorni di intensi combattimenti, i Talebani sono entrati nella valle del Panshir, ultima sacca di resistenza in Afghanistan. Nella notte di sabato, le forze dei sedicenti studenti coranici hanno raggiunto il villaggio di Anabah, un centinaio di km a nord-est di Kabul e a poca distanza dal capoluogo provinciale Bazarak, dove si trova il centro chirurgico, pediatrico e di maternità di Emergency. "Al momento, l’attività dell’ospedale non ha subito interferenze e continua normalmente. Finora abbiamo ricevuto un numero esiguo di feriti, ma non comunichiamo i dati esatti né la provenienza dei pazienti per evitare possibili rischi di strumentalizzazione», spiega la stessa ong, confermando l’arrivo nell’area dei mullah. I distretti conquistati finora sono quattro, rivendicano gli assedianti, accompagnati da festeggiamenti con spari in aria a Kabul che avrebbero fatto 17 vittime. Ma l’avanzata trova ancora l'opposizione dei mujaheddin del Fronte nazionale della resistenza, guidato da Ahmad Massoud, figlio del leggendario "Leone del Panshir" Ahmad Shah Massoud, che guidò la lotta anti-sovietica e anti-talebana, e dall’ex vicepresidente del governo spodestato, Amrullah Saleh. Gli scontri proseguono con decine di morti su entrambi i fronti, mentre i leader degli oppositori si sono rifatti vivi nelle ultime ore sui social e con i media per smentire le indiscrezioni su una fuga all’estero, promettendo di continuare a resistere. Ma «la situazione è senza dubbio difficile», ha ammesso Saleh, che aveva già denunciato l’isolamento dell’area con il taglio alle reti elettriche e di comunicazione. «Non rinunceremo mai alla lotta per la libertà e per la giustizia», ha assicurato anche Massoud in un messaggio su Facebook. Cruciali appaiono i prossimi giorni, vista l’urgenza degli 'studenti del Coranò di conquistare prima della stagione fredda la valle, protetta da ostili montagne con picchi fino a tremila metri, impedendo la riorganizzazione dei ribelli. Intanto, a Kabul si continua a lavorare al governo del nuovo Emirato islamico. La luce verde continua a tardare, tra voci di dissidi interni e incertezze sul futuro sistema amministrativo. Ma per i posti di comando i giochi sembrano fatti, con l'attribuzione al leader supremo Hibatullah Akhundzada del ruolo di guida religiosa e al co-fondatore Abdul Ghani Baradar di quello di capo politico. Per le strade della capitale continuano frattanto le proteste delle donne. Poche ma determinate, attiviste e giornaliste si sono ritrovate in piazza per il secondo giorno di fila. Ma il corteo che chiedeva di preservare i loro diritti nel nuovo Afghanistan, ha riferito Tolo News, è stato represso con la forza dai Talebani, che hanno sparato lacrimogeni contro le manifestanti, impedendone la marcia verso il Palazzo presidenziale. Non si fermano nel frattempo i contatti a livello internazionale. Mentre si accelera sulla riapertura dello scalo di Kabul, che secondo il Qatar è tornato operativo per i voli umanitari e potrebbe esserlo a giorni per quelli commerciali, nella capitale afghana è sbarcata oggi una delegazione di funzionari militari pachistani, guidata dal direttore generale dell’Isi, i servizi di intelligence di Islamabad, da sempre ritenuti sponsor dei mullah. «Abbiamo lavorato per la pace in Afghanistan e lo faremo in futuro; non c'è nulla di cui preoccuparsi», ha detto sibillino il generale Faiz Hameed. Una partnership chiave per la sfida della sicurezza interna, dove i rischi di destabilizzazione si legano alla competizione con altri gruppi jihadisti, a partire dall’Isis-Khorasan, responsabile dell’attacco kamikaze all’aeroporto. Anche perché i sedicenti studenti coranici respingono l’ipotesi di una collaborazione antiterrorismo con gli Usa ventilata dal Pentagono, dicendosi «pienamente preparati a garantire la sicurezza dell’Afghanistan».

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