Lunedì 23 Dicembre 2024

La storia di Aliona tra Vicenza e Kiev: "Vado in guerra, pronta a fare l’infermiera e a combattere"

«Ho paura di uccidere ma non di morire. Lo farò solo se costretta. E se il mio corpo dovesse servire per salvare la vita a un mio fratello ucraino, sono pronta a morire. Non ho paura». Aliona è un fiume in piena, scalpita per partire da Vicenza e tornare nella sua Ucraina a combattere. Lo ha fatto ieri sera e oggi  raggiungerà Leopoli, poi si vedrà. «Andrò dove sarò più necessaria. Stare qui per me è come tradire il mio popolo». Aliona vive e lavora a Kiev, dove è la responsabile della società Dante Alighieri che promuove la lingua e la cultura italiana per gli ucraini: «Insegno italiano ma per quattro anni e mezzo ho frequentato Farmacia al collegio. Quindi in guerra cercherò di rendermi utile anche per curare i feriti, per infondere loro parole di coraggio e per regalare sorrisi accompagnati da una zuppa calda dopo una giornata di bombardamenti». Nei suoi pochi 25 anni Aliona è cresciuta in un orfanotrofio "ma mamma e papà italiani mi ospitano spesso da quando avevo 6 anni, tanto che il 15 febbraio sono tornata per festeggiare il compleanno mio padre». Poi la situazione è precipitata: «La mattina del 24 ho visto che nel mio telefono c'erano 20 chiamate perse del mio coinquilino. Era cominciata la guerra. L’ho subito contattato, era terrorizzato. Mi diceva: 'ci stanno sparando, siamo sotto i bombardamenti, ma tu non ti preoccupare, andrà tutto benè. Lui cercava di rassicurare me. E’ in quel momento che ho preso la decisione di tornare a casa e quando mi è stato comunicato che c'era un posto anche per me su un bus diretto in Ucraina ho smesso di piangere e ho provato molta serenità». Anche se dall’Italia, Aliona ha cercato di essere utile ai suoi amici, che chiama anche «fratelli, perché qui l’amicizia è davvero fratellanza». «Facciamo i turni, uno guarda i tg e twitter mentre gli altri dormono. Se ci sono notizie di attacchi, chi è in piedi sveglia gli altri. Il mio ragazzo, almeno di giorno, mi manda un simbolo, uno qualsiasi, e io capisco che sta bene. Ha deciso di partire arruolandosi come volontario, e io lo capisco. Capisco anche chi va via. Ma nella vita devi fare quello che senti dentro». A questa ragazza non trema mai la voce mentre parla di tornare in patria a combattere. Le sue dono decisioni meditate, lucide, «sono 8 anni che siamo in guerra». «Ci tengo a dire che non odio i russi. Sono, siamo, tutti ragazzi, anche loro avranno paura, anche loro vorranno tornare dalle mamme».

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