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Uber nei guai: campagna di lobbying sui governi: "Coinvolto Macron. Tentativi di raggiungere Renzi"

Travis Kalanick fondatore e ceo di Uber

Una gigantesca fuga di materiale riservato accusa Uber di aver violato le leggi, beffato la polizia, sfruttato le proteste e le violenze contro i suoi autisti e fatto pressione segretamente sui governi per espandersi globalmente. Lo scoop è del Guardian che ha avuto accesso a oltre 124 mila documenti, di cui oltre 80 mila tra messaggi e mail tra i vertici: il materiale copre gli anni dal 2013 al 2017 quando il gigante americano era guidato dal co-fondatore Travis Kalanick.

Quest’ultimo, insieme ai dirigenti esecutivi della società, non ha lesinato sforzi per conquistare alla sua causa il sostegno di governi, presidenti e miliardari. Le migliaia di messaggi chiamano in causa direttamente anche il presidente francese Emmanuel Macron e riferiscono di un incontro con l’allora vice presidente americano Joe Biden dopo il quale sembra che ci sia stato un suo ammorbidimento dei toni nei confronti del gigante della Silicon Valley.
Dopo la fuga di notizie, Uber ha ammesso «errori e passi falsi», ma sottolineato che l’azienda è cambiata rispetto a quel periodo, sotto la guida dell’attuale amministratore delegato Dara Khosrowshahi. «Non abbiamo e non inventeremo scuse per comportamenti passati che chiaramente non sono in linea con i nostri valori attuali», ha fatto sapere. «Chiediamo invece al pubblico di giudicarci da ciò che abbiamo fatto negli ultimi cinque anni e da ciò che faremo negli anni a venire».

L'Espresso: da Uber pressioni anche su Renzi ed ex ministri Pd

C'è anche un risvolto italiano nell’inchiesta Uber Files che ha unito più di 180 cronisti di 44 testate internazionali, tra cui L’Espresso in esclusiva per l'Italia. "Italy - Operation Renzi" - rivela L’Espresso - è il nome in codice di una campagna di pressione organizzata dalla multinazionale, dal 2014 e il 2016, con l’obiettivo di agganciare e condizionare l’allora presidente del consiglio e alcuni ministri e parlamentari del Pd. Nelle mail dei manager americani, Matteo Renzi viene definito «un entusiastico sostenitore di Uber». Per avvicinare l’allora capo del governo italiano - spiega ancora il settimanale - la multinazionale ha utilizzato, oltre ai propri lobbisti, personalità istituzionali come John Phillips, in quegli anni ambasciatore degli Stati Uniti a Roma. Il leader di Italia Viva ha risposto alle domande di L'Espresso spiegando di non aver «mai seguito personalmente» le questioni dei taxi e dei trasporti, che venivano gestite «a livello ministeriale, non dal primo ministro». Renzi conferma di aver incontrato più volte l’ambasciatore Phillips, ma non ricorda di aver mai parlato di Uber con lui o con altri lobbisti americani. E comunque il governo Renzi - precisa L’Espresso - non ha approvato alcun provvedimento a favore del colosso californiano. L’Espresso fa sapere che tutti i particolari sulla "Operation Renzi» e sulle altre manovre di Uber per condizionare la politica italiana, cambiare le leggi e sfuggire ai processi verranno pubblicati sul prossimo numero de L’Espresso, in edicola da domenica 17 luglio con numerosi articoli accessibili da venerdì 15 per gli abbonati all’edizione digitale.

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